Da Cuba al Venezuela: l’insediamento del socialismo del XX secolo in America Latina

di Odilia

DA CUBA AL VENEZUELA: L’INSEDIAMENTO DEL SOCIALISMO DEL XX SECOLO IN LATINO AMERICA.
Tratto da Programa Especial di Napoleòn Bravo
Trascrizione, traduzione e adattamento di Odilia Sofia Quattrini

Quando il 1°di Gennaio di 1959, un gruppo di giovani con Fidel Castro in testa e appoggiato dalla maggioranza dei paesi del continente, giunse a La Avana e prese il potere, effettivamente Cuba si stava lasciando alle spalle una dittatura, quella di Fulgencio Batista. Ma la sua realtà socio-culturale fino a 1959 non era quella dipinta dai comunisti.

Nell’anno in cui arrivò al potere Castro, l’isola occupava il terzo posto fra le nazioni più sviluppate dell’America Latina dopo Argentina e Uruguay e la 25° posizione al mondo. Prima che il terrore assumesse il potere, Cuba possedeva una alfabetizzazione superiore al 90%. Prima dell’arrivo di Castro, l’isola contava con uno dei migliori sistemi di salute pubblica, occupando la terza posizione a livello mondiale in numero di medici e posti letto per persona.

Il suo tasso di mortalità era il più basso del pianeta: 5.8%, molto al di sotto di paesi come gli Stati Uniti, che arrivava a 9,5% e Canada con 7,6%. La mortalità infantile era la più bassa di Latino America. In materia di nutrizione, per quanto riguarda il consumo di calorie a persona, Cuba si situava al 26° posto al mondo.

L’isola occupava il 13° posto a livello mondiale per chilometri costruiti, ferrovie e strade, prima che Castro a punta di fucili pretendesse sviluppare la piccola isola. Il numero di automobili, televisori e radio, collocava Cuba al secondo posto in Latino America. La sua pulsante classe media rappresentava il 40% del totale della sua popolazione.

E allora, di che cosa si possono vantare questi rivoluzionari? In ogni caso, ricordiamo che c’era una dittatura, quella di Fulgencio Batista. Venivano arrestati e torturati i dissidenti politici, in modo speciale, nel centro turistico del paese: La Avana. La gente, il mondo intero, appoggiò quei ragazzi che scendendo in città dalle montagne, promettevano una democrazia, elezioni libere, eliminare la corruzione e la prostituzione, ma arrivò il comandante e ordinò fucilazioni e obbligò a zittire il popolo. Parlava, parlava, parlava e convinceva con la sua verve incendiaria contro la diseguaglianza.

Nell’aspetto pratico, le speranze del popolo iniziarono a decadere e la dittatura di Fulgencio Batista progressivamente si convertì nella tirannia di Fidel Castro. Cambiarono l’influenza del Nord America per la sottomissione al polo comunista, con la presenza addirittura dell’esercito russo nell’isola.

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I cubani, dalla pentola caddero nelle braci.
Dal canto suo, nel decennio dei settanta, il Venezuela aveva raggiunto la posizione del paese con la maggiore mobilità sociale del mondo. Era facile provare che un operaio poteva raggiungere con il suo sforzo una professione e assicurarsi una vita migliore rispetto a quella dei propri genitori.

Gli studenti universitari narravano con orgoglio, di essere nati in una piccola casa, in una baracca, ma che i loro genitori, pur non sapendo ne leggere ne scrivere, avevano quella stranissima e meravigliosa formazione caratteristica del popolo venezuelano, che spingendo alla strada i propri figli, dicevano loro: “Vai figliolo, diventa un dottore”.

Dagli anni 40 i venezuelani guardavano sempre verso il futuro e s’imponevano obiettivi superiori da quelli raggiunti dai loro genitori o nonni. Nessuno, ma proprio nessuno, dubitava che avrebbe vissuto meglio dei propri familiari.

In quegli anni, il giornalismo critico cercava nel fondo di qualsiasi cassetto delle scrivanie governative, un contratto stipulato male, una firma irresponsabile, la descrizione di un dirigente politico corrotto che permettesse loro di far vedere che erano disposti a battersi con chiunque, pur di denunciare i cattivi maneggi, la corruzione, la delinquenza politica e tutto quello che in seguito provocò che il Venezuela, con la maggior mobilità sociale al mondo, cadesse nelle mani di una banda che deteneva il potere per il suo stesso profitto.

Il popolo, che per decenni appoggiò al principale partito politico di centro-sinistra, Acciòn Democratica, si sentì abbandonato dai nuovi dirigenti che furono accusati di furti e frodi, dagli stessi oppositori politici e dai propri compagni di partito che ambivano una migliore collocazione di potere. Il popolo diede loro le spalle, e come successe ai cubani nel 1959, appoggiarono in un 52% il nuovo cantastorie: Hugo Chàvez Frias.

A differenza di Castro che arrivò grazie alle armi, Chàvez Frias giunse al potere con il voto popolare e non precisamente dei comunisti che furono sempre in minoranza in Venezuela, ma bensì di un 70% di militanti di Acciòn Democràtica scontenti, stanchi. Dopo tutto, furono sempre maggioranza.

Il 3 Novembre del 2016 doveva essere un giorno molto importante per il popolo venezuelano: per quella data era stata annunciata una mobilizzazione popolare verso la sede del potere centrale, Miraflores. Doveva essere una protesta per la soppressione da parte del regime, del referendum revocatorio contemplato nella stessa costituzione, da sostenersi a metà mandato presidenziale.

La popolazione manteneva nel suo ricordo quelle immagini in cui, l’unica volta che il regime installato in Venezuela dal 1998 era caduto, fu proprio per una straordinaria manifestazione. Avvenuta un giovedì, l’ 11 aprile del 2002, si ottenne che Hugo Chàvez Frias abbandonasse il potere, dopo avere violato quello stesso giorno i due articoli fondamentali della Costituzione.

L’11 aprile del 2002 Chàvez violò il diritto alla vita e il diritto all’informazione del popolo venezuelano.
L’11 aprile del 2002 vennero uccisi 19 venezuelani e rimasero feriti più di 100 e quel medesimo giorno e a reti unificate, l’allora presidente ordinò la chiusura di tutte le reti televisive indipendenti e private che trasmettevano.
L’11 aprile del 2002 la popolazione civile con la sua forte rappresentazione nelle strade, ottenne che durante la notte venisse chiesta la rinuncia al capo di stato. Rinuncia che lui accettò.

Quella notte, membri dell’alto mando Militare della Repubblica del Venezuela a reti unificate, condannarono i fatti accaduti nella capitale e annunciarono la richiesta di rinuncia alla carica di presidente a Hugo Chàvez Frias, informando dell’accettazione di questo.
Non fu un colpo di stato militare come il regime e lo stesso Chàvez dopo tre giorni, urlarono al mondo. Il tribunale supremo di giustizia di quell’anno fu molto chiaro nel suo verdetto: si trattò di un vuoto di potere. Buona parte dei dirigenti di opposizione coincise con il regime, accusando la società civile che marciò verso Miraflores nonostante loro non fossero d’accordo, di trattarsi di un colpo di stato e non di un vuoto di potere.

In ogni caso, Chàvez ritornò e con lui, la sua rivoluzione Bolivariana. E ora, dopo quattordici anni, il popolo venezuelano vive la stessa disillusione che vissero i cubani.

In Venezuela non esiste il pretesto del blocco americano e nemmeno di ricchezza unica.

Ora si attribuisce all’IMPERIALISMO americano ogni colpa, come se per gli Stati Uniti fosse più importante il minuscolo partito di governo venezuelano che l’Isis, ad esempio.

In ogni caso, questi sono alcuni dei dati del Segretario Generale dell’Organizzazione di Stati Americani (OSA), Luis Almagro, sulla situazione di quel “povero paese ricco” (nel sottosuolo) chiamato Venezuela, il medesimo che per molto tempo, cioè diversi decenni, fosse esempio di stabilità democratica, mobilità sociale, abbondanza.

Ora la popolazione sopravvive a un 76% di povertà, 82,8% di scarsità di prodotti (dato di gennaio del 2016), 80% di scarsità di medicinali, 70% di moduli per la salute chiusi, 130 mila milioni di dollari di debito esterno, 700% d’inflazione, 61mila pazienti con HIV a rischio, 130mila casi di malaria, 28mila omicidi soltanto nell’anno 2015, 113 prigionieri politici, 115 saccheggi e tentativi di saccheggi solo a gennaio e febbraio di quest’anno.
Il popolo non è andato a Miraflores. Alcuni dirigenti oppositori si sono seduti a un tavolo di negoziato con il regime, promosso dalla Santa Sede, con la partecipazione di alcuni ex presidenti di diversi paesi. Il regime ha seminato paura nella gente, minacciando di uccidere i manifestanti, come fecero l’11 aprile del 2002.

Uscirono gli studenti, questo sì, e si sono recati alla Nunziatura, in compagnia della dirigente politica Maria Corina Machado, chi insieme a Leopoldo López e a Antonio Ledezma, tutti dirigenti di partiti oppositori, si sono rifiutati di sedere a quel tavolo di negoziati.
Il popolo, secondo la costituzione del Venezuela, ha il diritto di protestare e a tal fine si cerca di mantenere attiva la strada.
Cesar Vidal, giornalista e professore spagnolo, esperto in analisi politica, sostiene che il modello politico che sta adottando il regime venezuelano, non tende a somigliare a quello cubano, ma si avvia piuttosto verso un modello molto più sofisticato e intelligente di quello di Cuba.

Secondo Vidal, il Venezuela sta adottando il sistema di “opposizione perfetta”, vale a dire, mentre Cuba non può nascondere di essere una dittatura con un partito unico, con i dissidenti che vanno in galera, senza elezioni, senza votazioni di alcun tipo, privi di campagne elettorali, è indiscutibile che si tratta di una dittatura, il modello venezuelano è molto più sottile e insidioso e molto più pericoloso di quello cubano perché pretende dimostrare che si tratta di una democrazia.

Ci sono altri partiti, si presentano a elezioni e in alcune occasioni vincono anche scranni nel potere legislativo.

Tutto ciò permette al regime venezuelano di mentire sul reale stato delle cose, anche se in realtà il Venezuela segue un modello che creò Lenin negli anni 20 del secolo scorso ed è quello che lui chiamava “opposizione perfetta”, cioè, si ha un’opposizione ma, o è tanto addomesticata, o è tanto frammentata, o è tenuta talmente sotto controllo che tutto ciò serve ad ingannare tutti quelli che vogliono credere che non si tratti di una dittatura.

Che siamo di fronte a una dittatura che governa in Venezuela è ovvio per chiunque che non voglia fare il cieco, ma secondo Vidal non rimane alcun dubbio che sta portando avanti il proprio piano in modo impeccabile: conta con l’appoggio del Vaticano, tant’è vero che non esiste dittatore di sinistra in Latino America che Papa Francesco non supporti, si chiami Raul Castro o si chiami Nicolàs Maduro. Questo è talmente vero che il giorno dopo in cui i gorilla di Maduro entrarono all’Asamblea Nacional e malmenarono le persone lì presenti, Papa Francesco gli conferì la benedizione papale.

Non può esserci un appoggio più chiaro in quel senso.

Vidal prosegue dicendo che l’opposizione si è seduta a un tavolo dove non ha possibilità di vincere in nessun modo. In qualsiasi delle ipotesi, se si alzano dal tavolo di negoziati, abbandona un tavolo dove si suppone che vi sia gente molto rispettabile, come il nunzio di Sua Santità e gli antichi presidenti, tra i quali l’ex presidente spagnolo Rodríguez Zapatero.

Se per il contrario rimane, si troverà con concessioni che non saranno mai altro che simboliche e daranno a Maduro la sensazione di avere un’opposizione che ascolta, che parla, che conversa.

Tutto questo, al momento, ha diviso l’opposizione e ha dato una sensazione di dialogo a Maduro.

La gente che è ben informata, che segue le informazioni del Venezuela in modo continuo, sa bene che si tratta di un tranello, ma per i mezzi di comunicazione del mondo intero, passa l’idea che si stia dando un’opportunità all’opposizione e se questa abbandona il negoziato, dimostrerebbe soltanto di essere gente fanatica e ottusa.

Il regime non abbandonerà il tavolo di negoziati mai, perché ha tutto l’interesse di mantenere infinitamente quella condizione: innanzi tutto sta guadagnando tempo, poi sta ritardando il referendum revocatorio, mentre attende anche che torni a salire il prezzo del petrolio.

Quest’ultimo obiettivo del regime, non è che tirerà fuori dalla miseria il popolo venezuelano, ma permetterà di mantenere il paese in una miseria un po’ più decorosa.

Questa, al momento, è la situazione della povera Venezuela.

L’opposizione ha stabilito un tempo limite che scadrà l’11 novembre per ottenere tutte o in parte, le condizioni richieste al regime.

Nel caso non si avesse nessun tipo di riscontro nel dialogo al compimento di quel tempo, si riprenderà la programmazione di strada, con convocazioni a manifestazioni massive e pacifiche, che da un momento all’altro si recheranno a Miraflores.
Il tempo del dialogo sta scadendo.

In realtà, non ci si doveva mai sedere a quel tavolo…

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