QVC Next Lab: Il nostro viaggio in Israele, dove start up e innovazione prosperano

di Francesca

Se mi avete seguita un po’ sui social, avrete visto che sono da poco tornata da un’esperienza molto bella: quattro giorni in Israele, tra Tel Aviv e Gerusalemme, insieme ad un gruppo di giovani imprenditrici. Chi con un progetto pronto per decollare, chi con un business già avviato per le mani, l’idea era di andare a scoprire da vicino un ecosistema fortemente all’avanguardia come quello israeliano, dove il lavoro, l’innovazione e le start-up si approcciano e sviluppano in modo molto diverso rispetto a quanto non venga fatto in Italia.

Questo viaggio è stato organizzato a conclusione del percorso formativo QVC Next Lab, progetto organizzato e ideato da QVC Italia, in collaborazione con The european House Ambrosetti, volto a rafforzare la consapevolezza e gli strumenti di start-up, piccole e medie imprese in una fase cruciale del loro sviluppo: l’accesso e presentazione della propria idea sul mercato o al pubblico finale.

Da sempre attenta al mondo femminile, infatti, QVC Italia ha deciso di dedicare questa prima edizione del QVC Next LAB alle imprese al femminile, realtà dell’ecosistema italiano ancora in crescita, alle quali ha voluto proporre un percorso di formazione concreto e di qualità.

Quando ho ricevuto la mail in cui mi si proponeva di partire, devo ammettere di aver vacillato un attimo. Per esperienza non si dice mai di no ad un viaggio, anche perché da un viaggio, di qualsiasi natura esso sia, si torna sempre arricchiti e cambiati, in un modo o nell’altro.

E per me il cambiamento, da sempre, ha una connotazione positiva, lo vedo come una naturale evoluzione. Quando poi si viaggia insieme ad altre persone si ha sempre molto da imparare.

Allora, a maggior ragione, a un viaggio non si rinuncia! Ho pensato giusto un po’ se partire o meno, visto il particolare periodo storico e, soprattutto, la meta.

Poi, però, fortunatamente, la mia innata curiosità e la voglia di conoscere e scoprire realtà e persone nuove ha avuto la meglio.

Ho iniziato allora a documentarmi il più possibile, scoprendo tanti aspetti controversi e affascinanti e dando risposta ad alcune delle tante domande che mi ero posta.

Prima fra tutte: perché proprio Israele?

Perché è il paese start-up per eccellenza, l’ecosistema perfetto per l’innovazione tecnologica e per un approccio seriale e più concreto alle start-up stesse. Israele possiede nel suo territorio una perfetta sinergia tra università, capitale umano, industria ed esercito.

Ho scoperto un Paese che va ben oltre il conflitto israelo-palestinese e che è fonte d’innovazione per tutto il mondo. Un luogo dove università, ricerca e aziende mettono in atto le proprie competenze per raggiungere obiettivi comuni e dove fondi e venture capitalist sono disposti a investire, magari anche rischiando, nelle tantissime start up che spuntano ogni giorno come funghi.

In Israele le cose funzionano, come spiega Lavie in “Israël Valley”, per una sinergia di più fattori: “la chutzpah, ovvero il coraggio di essere sfrontati, l’assenza di formalismo e, talvolta, per mancanza di rispetto per l’autorità dall’altro, da un altro, e il servizio militare che forgia la personalità”.

Durante questo viaggio saremmo stati circa una trentina: Martina, Ilaria, Alessandro, Federico e Alan, gli organizzatori e i referenti in loco del progetto di QVC Italia e di The European House Ambrosetti, le imprenditrici che avevano già partecipato al percorso e ai vari incontri tenuti a Milano, le tre mentor del progetto Mariarita Costanza, Fausta Pavesio e Lorena Capoccia, Nicola Lavenuta, CEO di Macnil Gruppo Zucchetti nonché socio (e consorte) di Mariarita, io e Sara Pinotti, ottima compagna di viaggio dalla mente aperta e illuminata, e preparata giornalista per il femminile online LetteraDonna.it 

Sara ed io saremmo state ufficialmente le reporter di viaggio, non dovendo fare altro che osservare, ascoltare e raccontare quello che avremmo visto. Ma soprattutto vivendo questo viaggio come donne in mezzo alle donne, accomunate dalla decisione di aver intrapreso con passione e grinta la strada della libera professione.

Sono davvero grata a QVC Italia per avermi permesso di fare questa esperienza.

Sono tornata a Milano con gli occhi e la testa pieni di cose belle, di esempi da cui prendere spunto, di modelli da riproporre anche da noi.

Sono anche molto contenta di aver conosciuto tante donne intelligenti e determinate, delle mentor di grande livello, umano e professionale, tanti progetti validi e interessanti che spero possano concretizzarsi e avere moltissimo successo.

E poi per una come me che, oltre ad arrivare da una famiglia di donne imprenditrici, crede nella donna che lavora, che si impegna, che insegue i propri sogni e obiettivi, ma che crede soprattutto nell’unione che fa la forza e nel saper fare rete al femminile, questo viaggio, con tutto quello che significava, non poteva certo essere solo un caso!

A bordo di un pullman come nelle migliori gite scolastiche, abbiamo osservato un programma di viaggio piuttosto intenso, con, ogni giorno, diversi incontri interessanti e altamente formativi, per conoscere da vicino una realtà così diversa dalla nostra, e per capire quali concrete possibilità esistano in Israele per chi vuole fare business.

D’altronde non è un caso che Gerusalemme sia vista da molti come una Startup Nation, tra le 20 città più innovative del mondo, in grado di conquistare un posizionamento nel panoramico economico internazionale.

Tel Aviv, città molto moderna e all’avanguardia, è sicuramente uno dei luoghi più interessanti per l’ ampio spazio destinato all’innovazione, una sorta di Miami del Mediterraneo.

Una start-up a tutti gli effetti, un concentrato di energia, un sogno che si è realizzato ed è divenuto realtà. Nella mentalità e nei comportamenti delle persone c’è poca cerimoniosità, tanta concretezza e determinazione, una visione della vita che riflette anche il perenne stato di difesa in cui si vive, ma anche un’evidente capacità di buttarsi e provare a realizzare quello in cui si crede.

Lì la filosofia imprenditoriale è completamente diversa da quella a chi siamo abituati e c’é un approccio molto particolare alle start-up.

Se, infatti, in Italia l’imprenditore crea una start-up, se ne appassiona e la vuole vedere crescere fino a farla diventare grande, in Israele c’è un approccio “seriale” ed essere uno startupper è una vera e propria professione.

Si creano start-up, si sviluppano, si vendono e così via.

Un eventuale fallimento fa parte del gioco, offre spunti da cui ripartire e non ha la stessa connotazione negativa che avrebbe per noi.

Se si cade amen, mal che vada ci si rialza e ci si riprova.

Ma, soprattutto, in Israele chiedere aiuto non è sinonimo di debolezza. Abbiamo percepito e ci è stata largamente raccontata, infatti, una propensione diversa al tendere mani, collaborare e creare sinergie.

Purtroppo, invece, in Italia, per quanto io sia positiva e pensi che le cose stiano cambiando anche da noi, c’è ancora chi si mette in gara, entra in competizione, dimentica quale sia il fine ultimo del produrre, inventare e creare.

Lo vedo io, nel mio piccolo, persino nel mondo del blogging, dove ci sono persone pronte a tutto pur di emergere un pochino rispetto alle altre. “E’ il sistema!”, si giustificano, accusandosi l’un l’altra per quelle che chiamano “questioni di principio”.

Così facendo, insisto, non andremo da nessuna parte. Solo l’unione fa la forza.

E niente, davvero niente è più brutto che vedere persone appartenenti alla stessa categoria farsi la guerra e infamarsi a vicenda, invece di prendersi per mano e capire che il mondo si cambia facendo squadra.

“Il nostro migliore alleato è il nostro concorrente”

(Oliver Williamson)

Mi scuso per questa breve divagazione ma, inevitabilmente, la mente umana tende a razionalizzare ciò che vede e impara adattando tutto al proprio vissuto.

Tornando al nostro viaggio, è stato proprio bello e incoraggiante percepire tanta apertura nelle persone e nelle realtà che abbiamo incontrato, ma anche ritrovarsi, in una sorta di appuntamento al buio, quattro giorni a stretto contatto con donne e uomini (perché anche loro, seppur in netta minoranza numerica, hanno dato molto valore a questo viaggio), con i quali condividere pensieri e riflessioni.

Leggendo il pezzo di Sara pubblicato qualche giorno fa su LetteraDonna.it (“Israele, quando la start-up è il Paese stesso”) non ho potuto fare a meno di sorridere, dove scrive: “sarà stato il cameratismo da gita scolastica, o il fatto che la maggior parte di noi ne avesse un gran bisogno, ma sono bastate poche ore insieme per creare quell’atmosfera di scambio intellettuale ed emozionale che può instaurarsi soltanto in gruppi a maggioranza femminile”.

La penso esattamente come lei, non solo per l’atmosfera che si respirava, che lei descrive perfettamente, ma anche e soprattutto per quel ribadire quanto probabilmente avessimo tutti bisogno di confrontarci e chiacchierare tra di noi, forse proprio per il fatto di non conoscerci affatto.

A volte i consigli migliori arrivano proprio dagli estranei che, privi di pregiudizi e costruzioni mentali, riescono ad aprirci un mondo, senza neppure immaginarlo.

Sono tornata a Milano con una voglia di fare incredibile, con tanta energia da canalizzare e, come se già non bastassero le centinaia di cose che già faccio, con l’inarrestabile desiderio di mettere molta altra carne sul fuoco.

Durante questo viaggio ho ritrovato uno stile di vita e una metodologia di lavoro che mi sono sempre appartenuti ma che a fatica sono riuscita a trovare in Italia, dove, per tanti versi, siamo ancora molto indietro.

Ho scelto la libera professione, con i suoi mille rischi, perché per me il tempo e la libertà erano e sono sempre stati fondamentali.

Perché sono sempre stata una lavoratrice, ma devo sentirmi libera di gestire il mio lavoro senza fiato sul collo, orari e vincoli, per produrre.

Senza cedere a quella strana usanza vecchio stampo che ti obbliga a scaldare la sedia in ufficio anche quando non serve, per timbrare il cartellino e far vedere che si lavora anche se si sta solo su Facebook.

Senza vivere le gerarchie in ufficio alla Fantozzi, con paura e riverenza verso chiunque ricopra un ruolo più importante del nostro.

In Israele, come in tanti altri paesi al mondo, tutti sono allo stesso livello anche quando percepiscono stipendi diversi. Tutti si danno del “tu” senza problemi.

Il caffè non te lo serve nessuno, come è giusto che sia lo passa agli altri la persona più prossima alla macchinetta, che sia il fondatore dell’azienda o l’addetto alle pulizie, senza inchini.

In Israele si lavora e anche tanto. Ma quando serve, non per scaldare sedie.

Un CEO scherza e ride con l’ultimo arrivato in ufficio e, se si ha voglia, un gelato o una birra sono assolutamente contemplati, senza l’angoscia di averci messo 3 minuti in più del “dovuto”, come invece succede da noi alla macchinetta del caffè. E in ufficio ci si va quando serve.

Per esperienza personale senza orari fissi si lavora meglio e si produce sicuramente di più.
Per cambiare le cose dobbiamo prima di tutto cambiare mentalità e cultura del lavoro!

E’ stato davvero bello tornare a casa piena di fiducia, ripetendo tra me e me che sì, si può fare.

Chissà se un giorno riusciremo a lavorare così anche qui!

Ma, soprattutto, come ha detto Mariarita Costanza (Macnil Gruppo Zucchettimentre sorseggiavamo una birra sulla terrazza vista mare degli uffici di Wix.com, chissà che non arrivi il giorno in cui qualcuno verrà da noi in Italia, magari con un gruppo di giovani imprenditrici, per dare una sbirciatina e per portare il nostro esempio nel mondo.

Noi ce lo auguriamo! 

Magari a Milano non riusciremo ad avere bellissime terrazze vista mare (anche se un tetto vista Duomo non sarebbe comunque male), ma altrove sì.

Tetti con vista o no, quello che conta è capire quanto un clima giovane, rilassato e informale (magari con enormi frigoriferi pieni di birre e gelati e con cagnolini che circolano liberi in ufficio) possa giovare.

Dobbiamo “solo” entrare nell’ordine di idee che dobbiamo cambiare tutti per cambiare il sistema!

Ma, come dice Lorena Capoccia: “il più grande insegnamento che ho riportato da questo viaggio è che quando un gruppo di persone che condivide la stessa etica vuole realizzare un sogno ci riesce”.

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