VENEZUELA: LA LOTTA QUOTIDIANA PER RISCATTARE LA LIBERTA’

di Odilia

VENEZUELA: LA LOTTA QUOTIDIANA PER RISCATTARE LA LIBERTA’

Di Odilia Quattrini

Famiglie intere che vanno a marciare nelle manifestazioni di strada per esprimere la propria disperazione, la rabbia e la stanchezza in un paese ormai distrutto da 18 anni di un modello politico, sociale ed economico rovinosamente  fallito.

Ormai la paura è svanita. Si tratta di scegliere dove si vuole avere l’appuntamento con la morte: a casa, senza alimenti né farmaci, o in strada, dove la repressione brutale del regime ha provocato almeno 41 morti.

Guerrieri coraggiosi. Tutti senza armi, con l’unico obiettivo di recuperare la libertà perduta facendo pressione su un regime che persiste nel volersi perpetuare nel potere.

Repressi senza pietà da quelle forze dell’ordine che dovrebbero difendere il proprio popolo, perché anch’essi e le loro famiglie subiscono le penurie della carestia di alimenti, di medicinali e di sicurezza.

Questa è la cronaca di uno di quei milioni di ragazzi che in lungo e in largo del Venezuela, escono ad elevare il proprio grido disperato, per dire BASTA!

Andrès Guinand fotografato da Roberto Mata

“È normale che io non senta le gambe?”

Di Roberto Mata

Tradotto da Odilia Quattrini

“Andai con la mia ragazza e i miei suoceri alla marcia del 19 aprile. Eravamo sull’autostrada Francisco Fajardo, a 300 metri dalla prima fila della manifestazione. I gas non arrivavano da noi.

All’improvviso, tutti iniziarono a tornare indietro. La repressione della Guardia Nazionale Bolivariana ci raggiunse ed iniziò il pandemonio. Io e la mia ragazza ci lanciammo da un’altezza di due metri e mezzo, al terreno fra El Guaire (n.d.t.: la più grande fogna a cielo aperto che attraversa Caracas. E’ un fiume sul quale scarica tutta la città) e l’autostrada e ci separammo dai miei suoceri. Lì ci spararono gas lacrimogeni da dietro e dal fronte. Rimanemmo intrappolati insieme ad altre persone, alcune senza poter respirare, gettare per terra. La migliore alternativa, senza dubbio, fu attraversare El Guaire. Altri già, con l’acqua alla cintura, lo stavano facendo. Dall’altra parte tutto appariva più tranquillo.

El Guaire non ha odore alcuno. L’acqua si sente come quella di un fiume qualsiasi, anche se c’è immondizia sul fondo. La paura era per un ferro o qualcosa che mi potessi piantare nei piedi. Arrivammo all’altra sponda e la mia ragazza cadde un paio di volte cercando di uscire, per la pendenza del terrapieno. Vidi come una persona si tolse le scarpe e riuscì ad uscire in calze. I sette che eravamo lì facemmo la stessa cosa e tentammo di salire.

Sentii un colpo, un fischio mi assordò per alcuni secondi e caddi verso il terrapieno. Mi hanno colpito! Riuscii a urlare. Mi avevano sparato una bomba lacrimogena cilindrica in testa. Rimbalzò nella schiena della mia ragazza e cadde in acqua. Non ci fu gas.

La mia Ragazza e William, uno sconosciuto fino a quel momento e di chi non so ancora niente, mi sedettero e mi trattennero perché stavo scivolando verso il fiume. Mi chiesero di mettermi in piedi. ‘Alzati che ti tiriamo fuori da qui!’. Mi resi conto di riuscire a muovere le gambe dentro l’acqua, ma senza sentirle. Non le potevo coordinare. Impossibile mettermi in piedi.

Mentre Wilbany e Darwin, paramedici di Vias Ràpidas, mi bendavano la testa, mi mettevano il collarino e mi collocavano sulla barella e fra molte persone della marcia tiravano la corda alla conta di tre, le GNB tornavano ad attaccarci con lacrimogene, altre due volte. Per fortuna cadevano sul terrapieno e da lì venivano calciate verso l’acqua dai paramedici.

— È normale che non senta le gambe?

— Voglio esserti sincero, non è normale che tu non senta le gambe.

Mi fecero salire fino all’Avenida Rio de Janeiro di Bello Monte e da lì mi portarono in ambulanza a un centro di salute privato.

‘La bomba è penetrata, hai frattura di cranio, ti schiaccia il cervello e ti dobbiamo operare’.

Con un trapano mi fecero dei buchi nel cranio, li unirono e mi tolsero e scartarono quel pezzo di cranio delle dimensioni di una palla da golf. Il rischio di una infezione per avere attraversato El Guaire era la maggiore preoccupazione per i medici.

In sei mesi, quando il cervello sarà completamente disinfiammato, mi faranno una TAC e imprimeranno in un materiale speciale la forma del pezzo mancante e mi opereranno per rimettermelo.

Nel frattempo, mentre mi mancherà parte del cranio, non posso subire nessuna botta.

Ho mal di testa in ogni momento. È una fitta permanente. Mi gira la testa e non posso svolgere attività che richiedano la mia concentrazione. Se mi metto a leggere, arriva un momento che devo chiudere gli occhi e riprendermi per venti minuti. La gamba sinistra ha una sensibilità media e il mio cervello è infiammato. Sono rallentato.

Io non voglio mettere tutte le guardie in uno stesso sacco, voglio credere che una di loro ha sparato e che l’altra abbia detto: ‘a quello l’hai colpito in testa, per poco non lo ammazzi ne El Guaire, fai più attenzione’.

Mi rimane il dubbio a che serva sparare una bomba a una persona che sta fuggendo nel fiume, dove il gas non fa effetto.

Che cosa cercavano?

Io non posso marciare, ma nonostante che giorni prima mio nonno ottantenne ricevette una bomba in testa, tutta la mia famiglia continua a farlo. Ora con il casco”.

Andrès Guinand, 28 anni, architetto.

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