Diario di una quarantena: l’esordio del diabete di tipo 1 – 4 aprile 2020

di Francesca

Sabato, 4 aprile 2020

 

Care Giulia e Vittoria,

questo non sarà un aggiornamento come tutti quelli scritti finora.

Oggi inizia una quarantena nella quarantena per tutti noi, per la nostra famiglia.

Inutile che vi dica che la situazione non accenna a migliorare e che, anzi, si respira sempre più angoscia e preoccupazione.

Ma oggi non è solo del coronavirus che vi vorrei parlare.

Ci sono stati due momenti nella mia vita in cui ho ringraziato il cielo per aver saputo cogliere delle sfumature impercettibili e di aver capito in tempo che qualcosa non andava.

Una è stata il 3 ottobre 2012 quando, senza mezzo sintomo, siamo corsi in Mangiagalli e alla fine era un distacco di placenta e siete nate voi.

Mi sono chiesta mille volte cosa sarebbe accaduto se quella vocina dentro di me non mi avesse detto di alzarmi e correre in ospedale.

Forse non saremmo qui, forse non avrei nessuno a cui rivolgere queste righe e non ci sarei nemmeno io.

La seconda volta in questi ultimi giorni, mentre quella stessa vocina continuava a dirmi che Vittoria aveva qualcosa che non andava.

In verità sono quasi 3 anni che questa vocina mi perseguita e, non essendo noi dei genitori sprovveduti, vi assicuro che abbiamo provato ad andare a fondo in più di un’occasione.

Negli ultimi giorni, però, tu, Vittoria, facevi troppa pipì, bevevi e mangiavi troppo, eppure i vestiti ti stavano sempre più larghi.

Ieri notte poi non ci avevo dormito.

Stamattina ho rotto le palle a papà perché ti portasse nella farmacia sotto casa a provare la glicemia.

E lì per fortuna Gabriele, il farmacista, che è anche un amico di vecchia data, davanti a una glicemia a 630, ci ha invitati a correre in pronto soccorso.

Diabete mellito di tipo 1

Inizia un percorso nuovo e non posso mentire: siamo scossi e molto avviliti.

La nostra famiglia si è separata: Giulia e papà a casa, io e Vittoria in ospedale.

E’ una situazione surreale e complicata perché essendo arrivate noi dal Pronto Soccorso, siamo state ricoverate subito nel reparto speciale Covid-19.

Le infermiere sono gentili e premurose ma il contesto non è dei migliori. Siamo isolate e costrette a restare chiuse nella nostra stanza senza contatti con l’esterno.

I medici mi chiamano per telefono e quando le infermiere entrano per cambiarti le flebo o medicarti si devono coprire tutte dalla testa ai piedi. Appena arrivate qui ti hanno fatto il tampone e solo domani sapremo se dovremo restare qui o se saremo trasferite nel reparto pediatrico “normale”.

Io passo dallo stare con te a scoppiare a vomitare e piangere nel bagno della nostra stanza e mi è venuta un po’ di febbre.

In queste ore difficili Pia e Marta, due infermiere del reparto, riescono a trasmetterci un po’ di affetto, seppur sia così difficile sentirne senza contatti fisici.

La cosa sconvolgente è stata sentirci dire che ancora 2/3 giorni così e saresti finita in rianimazione. I valori della glicemia erano decisamente troppo alti per mantenerti in vita e non prosciugarti nel giro di pochi giorni.

Quando in pronto soccorso ti hanno pesata mi sono tremate le gambe: 15 Kg quando nemmeno 20 giorni fa, ne sono certa perché vi avevo pesate entrambe, eri 19 e qualcosa.

Ora stai bene e conta solo questo, ce ne siamo accorti e siamo in ottime mani.

Spero di poter incontrare dei medici più empatici nei prossimi giorni, perché in pronto soccorso, a parte degli infermieri davvero dolci, la dottoressa mi ha detto in modo molto brusco e con pochissime parole che si tratta di diabete di tipo 1, che ci conviveremo per sempre, che sarai per questo motivo insulino-dipendente a vita e che ancora 2 giorni e non saresti probabilmente sopravvissuta.

Tutto per fortuna si cura e con tutto si impara a convivere.

Riusciremo a superare anche questo.

Essere ricoverati in questo momento è quanto di più complicato immaginassi.

Nel nostro reparto ci sono diverse stanze occupate da bimbi con il virus.

Che assurdità: là fuori si continua a dire che i bambini non si ammalano, che questo virus colpisce solo anziani con patologie pregresse.

Non è affatto così, l’infermiere con cui ho parlato salendo in reparto dal pronto soccorso mi ha raccontato che da gennaio ad oggi sono stati moltissimi i bimbi ricoverati.

Ho parcheggiato malissimo la smart pensando che sarei potuta uscire ma mi hanno già detto che non potremo uscire noi e non potrà entrare nessuno.

Quindi non vedrò per chissà quanti giorni papà e te, Giulia.

Non potete venirci a trovare, è davvero brutta questa situazione.

Vorrei sentirvi vicini, vorrei che nonna venisse a trovarmi, invece non possiamo fare altro che aspettare.

Aspettare che il dolore si stemperi, aspettare che questi giorni passino.

Guardo fuori dalla finestra e nonostante tutto c’è un bel sole.

Ancora una volta non riesco a concentrarmi sul dolore o sulla sfortuna di questo ennesimo intoppo sul nostro cammino.

Mi viene solo da pensare che siamo stati fortunati, sì, lo siamo stati. Perché poteva andarci peggio.

Perché se solo fossi stata meno attenta avrei trascurato i sintomi. Perché se oggi fosse stata domenica la farmacia di Gabri sarebbe stata chiusa e poi chissà.

Perché là fuori c’è una pandemia globale con tantissime persone sofferenti che muoiono senza nessuno accanto.

Io ho te, tu hai me e stiamo bene.

In questo dolore generale ci si sente ancora più soli, ma noi ce la faremo.

Il dolore e la solitudine passano un po’ con i mille messaggi che continuiamo a ricevere sui social e via cellulare.

Chiara, la mamma di Niccolò è stata carinissima ed è andata a prendere la valigia a casa per portarcela. Anche se è medico non l’hanno lasciata entrare e non abbiamo potuto vederla, ma ci ha lasciato la valigia all’ingresso del reparto.

Non so come andrà, ma sicuramente ne usciremo.

Te lo prometto e lo sai che per me le promesse sono sacre.

Un abbraccio

Mamma

 

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