Wallabies: come nasce una start-up di intelligenza artificiale applicata al calcio?

di Francesca

A volte mi chiedono cosa sia Wallabies, la società creata da Gigi ormai più di 8 anni fa.

Ne avevo gia parlato da un punto di vista più tecnico e dettagliato in un post di qualche anno fa (lo trovate QUI) ma torno volentieri sull’argomento perché nel frattempo qualche altro anno è passato e nel frattempo ho visto arrivare anche Fantagoat e Wallawin.

Wallabies è nata 3 anni dopo Giulia e Vittoria e l’ho visto crescere, trasformarsi, insieme e a loro.

Potrei dire serenamente che è stato una specie di terzo figlio per lui, quanto per me lo sono stati il mio blog e la mia società di consulenza.

Può sembrare un paragone azzardato, ma noi liberi professionisti lo sappiamo bene: un’idea è una specie di figlio, dal momento in cui viene concepita e idealizzata a quando riusciamo a concretizzarla.

Sarà che in Italia mettiamo il cuore un po’ in ogni cosa che facciamo, ma Wallabies per Luigi ha rappresentato gioia e dolori, impegno e sacrifici, aspettative e sogni. Qualcuno infranto, qualcuno realizzato.

Più che dirvi cos’è Wallabies potrebbe avere quindi più senso dirvi cosa rappresenti per lui.

Perché, alla fine, realizzare una start-up porta con sé una girandola di emozioni che non ha pari.

Molti non sanno quanta fatica si nasconda dietro alla nascita di una start-up.

Io quella fatica l’ho vista, sentita, respirata tutta in questi anni.

Sin da quella prima cena in un ristorante giapponese di Milano, quando, cenando con i nostri amici Marta e Checco, è nato il suo nome: Wallabies, come i cangurini australiani, come un salto in avanti nel mondo dell’intelligenza artificiale applicata al calcio.

Come Giulia e Vittoria appena nate viste attraverso gli occhi di Tommaso e Marta, i nostri nipoti che, ormai più di 11 anni fa, vedendo le cuginette appena nate attraverso il vetro della terapia intensiva dormire su di noi in un momento di “marsupio terapia” (un metodo adottato con i neonati in incubatrice, che consiste nel metterli nudi sul petto dei genitori) le chiamarono proprio così: cangurine.

Costituire una start up è impresa ardua.

E, a parte rari e fortunati successi e colpi di fortuna, è lacrime, passione, sudore, sofferenza, oltre che soddisfazione e felicità.

La parte più complicata nei problemi che si affrontano quando si lancia una nuova giovane realtà, poi, risiede proprio nel fatto che ci si ritrovi ad affrontare tematiche a cui non si è ancora preparati.

La scuola e l’università ti insegnano a specializzarti. Risolvere i problemi di una startup invece significa ampliare il più possibile la mente per trovare soluzioni a problemi che fino a poco tempo prima non si conosceva l’esistenza.

E se poi hai davanti a te tanti ostacoli e, in più, non sei una persona particolarmente estroversa, anche questo diventa uno scoglio.

Però oltre alle difficoltà (una al giorno) ci sono le emozioni.

Emozioni che sono anche bellissime da provare.

Perché che bello quando qualcosa che hai inventato cresce, viene apprezzato, piace e convince a qualcuno.

E così tra un inciampo e l’altro si cambia, si cresce, si sviluppano fantasia e creatività, si cambiano mille volte i punti di vista e le strade da percorrere.

In poche parole, giusto per concludere e non dilungarmi troppo, alla fine è proprio vero che la start up regala di più al suo fondatore di quanto il fondatore possa dare alla sua startup.

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