La Parroquia San Juan

di Francesca

 

Oggi volta che leggo i racconti che mi manda Cono mi emoziono davvero.
Le sue parole riescono a ricordarmi tante cose della mia infanzia, riescono a riportare pensieri e ricordi nella mia mente. In verità i suoi ricordi entrano nella mia testa prendendo per mano i miei e facendoli riemergere.
Grazie amico mio, grazie per ricordarmi da che paese meraviglioso arriviamo.

I Ricordi di Cono: La Parroquia San Juan
Di: Cono Carrano

“In questi giorni e d’altronde come faccio spesso quando evoco con la memoria i miei ricordi d’infanzia, evoco inevitabilmente con essi il mio quartiere, il quartiere che mi ha visto nascere e che mi ha visto crescere, finché mio malgrado, dovetti lasciarlo nel lontano 1989…

PISAO
“Pisao”,”Pestato”.
Nessuno ha mai saputo con certezza il perché di quel soprannome.
Pisao era un senzatetto, el ‘borrachito’ del quartiere e tutto il quartiere lo conosceva.
Era pacifico, lo è sempre stato, ha sempre parlato con tutti e tutti o quasi si erano affezionati a lui per tutto il tempo in cui restò nel nostro quartiere.
Pisao dormiva molto, rideva molto e parlava molto, tante volte da solo.
Cantava spesso la stessa canzone che cantava mia madre: ‘Cachito, cachito, cachito mio, pedazo de cielo que Dios me dio’, ‘Pezzetto, pezzetto, pezzetto mio, pezzo di cielo che Dio mi ha dato’, una vecchia canzone di Nat King Cole in spagnolo.
Pisao ci salutava tutti, conosceva di tutti il nome e molti gli portavano da mangiare, lo facevano anche i miei genitori e nel panificio di mio padre, oltre a qualche vivere, aveva sempre almeno un caffè assicurato, un ‘marroncito’, l’equivalente italiano di un caffè lungo e macchiato.
Nel suo vagabondare avanti e indietro per la ‘cuadra’, ricordo come fosse ieri quando passava davanti al panificio e dal marciapiede, ridendo e agitando su e giù la mano destra diceva a mio padre: ‘Aja, Rocco si es arrecho!’, ‘Aha, Rocco si che è cazzuto’, Rocco era mio padre.
Pisao aveva la pelle color cannella, era alto, magro e col viso scavato, pochi denti, capelli grigi lisci e gli occhi nerissimi. Si narrava che una volta lo avevano ripulito, che almeno per un giorno, ebbe un’aria fresca, fu profumato e indossò con dignità e un certo stile i vestiti puliti donati; ‘que buena pinta Pisao’, ‘che bella cera Pisao’, gli dissero molti del quartiere quel giorno; Una mattina Pisao, che dormiva adagiato alla saracinesca della tipografia di Astroberto, non si svegliò più, lasciò San Juan per i ‘quartieri alti’ dove erano forse gli unici a sapere del perché di quel soprannome…!
Ricordo la commozione di tutti, molti piansero, lo fecero anche i miei genitori e Pisao rimase a lungo negli aneddoti dell’Avenida Pescador a Cochera.

FRANCISCO
Il suo vero nome era Francesco, era italiano e veniva dalla Campania, ma in poco tempo si sostituì la “i” al posto della “e” e la pronuncia della “c” in spagnolo, in castellano, diventò “s”: Francisco.
Era sposato con una venezuelana dalla pelle color caffè, corpulenta, dagli occhi e i capelli neri come la pece, con un sorriso dolce come lo zucchero e bianco come il sale. Tutti e due gestivano una fruteria, un negozio di frutta, era come si potrebbe immaginare in un sogno tropicale, piccolo e dall’entrata stretta, i muri rossi carminio, la luce che entrava dalla strada non era sufficiente ad illuminare questo piccolo spazio invaso da una enorme quantità di frutta, i caschi di banana erano quasi spropositati e sembrava che dovessero caderti addosso da un momento all’altro. Giganteschi cocomeri, gigantesche papaie, mango, manga, frutto della passione, guayaba, guanabana, mamones.
Come in una profumeria, il profumo intenso e inebriante di tutto questo ben di dio invadeva le narici quasi fino a farle confondere.
Io sapevo, io sapevo che cosa tenevano nascosto Francisco y Flor al di là del bancone, lungo il corridoio lungo e stretto che conduceva, attraversando un piccolo patio, alla loro abitazione.
E io sfacciato e come un guappo chiedevo quasi tremante dall’emozione: ‘Flor, Francisco! y los loritos?’, ‘Flor, Francisco! e i pappagallini?’, ‘Ven ven, pasa Conito!’, ‘Vieni vieni, passa Conito!’.
E loro erano lì, appena nati, piccolissimi, buffi e spennacchiati.
Col passare dei giorni si riempirono di piume di un verde e di un giallo accecante, io ero sempre più esaltato e lo scopo principale delle mie giornate allora era, sempre dopo aver finito i compiti nel primo pomeriggio, andare da Flor, Francisco y los loritos.
Dopo un paio d’ore, in cui io ero appollaiato davanti a quella gabbia in adorazione dei pennuti, o addirittura ero riuscito a tenerli tra le mani e accarezzarli con l’aiuto premuroso di Flor, mio padre attraversava la strada, e dalla panaderia arrivava alla fruteria e chiedeva a Francisco, dopo averlo salutato e avergli stretto vigorosamente ma affettuosamente la mano, un casco di almeno 6 banane, un avocado, una manga e i bananitos, ‘cambur de manzana’, delle piccole banane all’insolito gusto di mela, ed esclamava: ‘Vamonos pa la casa Conito, que mañana vienes otra vez’, ‘andiamo a casa Conito, domani ritornerai’.

MARIO
Anche Mario era italiano, e come Francesco e come tanti altri italiani della Parroquia, veniva dalla Campania.
Mario era basso, stazza abbondante, capelli grigi che portava sempre all’indietro con la gommina e tutti giorni e ogni giorno, indossava una casacca con le maniche corte, sempre solo e rigorosamente bianca, che fosse di lino, di cotone pesante o di fresco di lana, questa era la divisa di Mario ‘el barbero’, il barbiere di San Juan.
Mario aveva una moglie, italiana ma nessuna l’ha mai vista nel quartiere, alla chiusura Mario s’incamminava a casa verso El Silencio, oltre le torri dove abitava. Nei miei pomeriggi di ozio, scendevo dal primo piano attraverso la rampa di scale dal corrimano blu elettrico, correvo nel corridoio dalle pareti color crema ruvide ed increspate del mio palazzo verso la strada, e una delle mie prime tappe era proprio da Mario, mi fermavo a guardare con quale precisione e maestria lui, pennello schiuma e rasoio in mano, faceva la barba a uomini per lo più di mezza età.
Mio padre faceva spesso il pacchetto barba e capelli, io che ero ancora un marmocchio, per ovvi motivi, tagliavo solo i capelli. ‘Los chismes’, i pettegolezzi non sono una prerogativa femminile, al contrario, presto imparai che da Mario potevi apprendere ogni tipo di pettegolezzo, anche quelli più variopinti e piccanti, come le peripezie amorose di maschietti e femminucce nelle notti calde di San Juan!
Per quello che riuscivo a carpire dalle frasi sussurrate per pudore in mia presenza, portando il dito indice sulla punta del naso o strofinandomi la bocca, come tuttora faccio senza accorgermene, a volte quando sono in imbarazzo, me la ridevo e me la ridevo, e lasciando il salone anni 50 di Mario e attraversando la strada mi ritrovavo spesso a far merenda nella panaderia di mio babbo e con un ‘cachito de jamon’ e una ‘frescolita’, ancora ridendo e sussurrando come da Mario si faceva, riportavo a mia madre con tanto di parolacce tutto quello che di queste storiacce avevo saputo.
Mia madre sgranava gli occhi, rideva e storcendomi ancora un sorriso mi ripeteva: ‘Conito eso no se dice mi amor!’, ‘Conito non si dicono queste cose amore mio!’.

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