La vita ai tempi del coronavirus – diario del 28 febbraio

di Francesca

Colombia, San Andrés, 28 febbraio 2020

 

Care Giulia e Vittoria,

la nostra vacanza sta per terminare e, viste le notizie che continuano ad arrivare dall’Italia sulla diffusione del coronavirus, giuro che vorrei tanto potervi tenere qui e non tornare a casa.

Gli amici ci consigliano di restare qui e di non tornare in Italia, dove le cose stanno andando sempre peggio.

Devo ammettere che è tutto così nuovo e particolare che ancora non riesco a capire bene la situazione.

Leggo tanto anche se arrivano in continuazioni tesi contrastanti e mi affido molto alle considerazioni di amici e conoscenti.

Stamattina leggevo che il fatto che il paziente 1 e di conseguenza l’epidemia si sia innescata proprio nel contesto di un ospedale, è stata una grande sfortuna.

Probabilmente qualcuno, arrivato in una fase ancora di incubazione, ha  sviluppato l’infezione quando era già nel nostro Paese con un quadro clinico senza sintomi o con sintomi molto lievi, che gli hanno consentito di condurre la sua vita più o meno normalmente e ha così potuto infettare del tutto inconsapevolmente una serie di persone.

Probabilmente tutti questi casi si stanno verificando soprattutto da noi perché Lombardia e Veneto sono le regioni in cui sono anche più intensi gli scambi con la Cina per ragioni economiche e commerciali.

Non è però ancora detto che il primo a portare il virus in Italia sia stato proprio un cinese.

Potrebbe essere stato anche un uomo d’affari italiano di ritorno da quel Paese.

Iniziamo ad avere paura, sarò sincera.

Tra pochi giorni torneremo in Italia e per farlo attraverseremo vari aeroporti.

In questo momento non sono preoccupata per noi, ma solo per la nonna.

Spero di non avere problemi dovendo attraversare tre aeroporti e non avendo nemmeno la mascherina.

Vista la situazione generale e il fatto che gli italiani in questo momento vengano trattati come untori spero davvero di poter rientrare in Italia senza restare chissà dove.

La scuola sarebbe dovuta ricominciare il 2 marzo ma il decreto ha detto che per una settimana chiuderanno.

Questa mattina mi sono svegliata presto, il fuso non mi fa dormire e quando qui sono le 5.30/6:00 del mattino in Italia è mezzogiorno inoltrato.

Appena accendo il cellulare leggo le chat di wa e le notizie sui giornali.

Stamattina non mi hanno rincuorato per nulla.

Nonostante io continui a pensare che le persone si stiano facendo prendere troppo dal panico  (la distanza non aiuta a inquadrare in modo obiettivo le cose) mi rendo conto che la situazione si sta facendo seria.

Tra le diverse mail ricevute stamattina almeno 5 comunicavano l’annullamento di un evento e tutte si concludevano con un messaggio più o meno simile:

“sperando l’emergenza rientri e la situazione torni calma, ci aggiorniamo nei prossimi giorni”.

 

Amuchina e mascherine ormai introvabili

Luisa è sempre di più la mia finestra sull’Italia e mi aggiorna su tutto quello che sta accadendo oltre oceano.

I contagi aumentano a dismisura e questo virus si sta rivelando più forte di quanto non credessimo tutti.

Mi racconta che nella farmacia di Baby, il suo fidanzato che ho finito con il chiamare anche io così, la gente sta facendo incetta di amuchina e mascherine, ma anche di qualsiasi altro farmaco possibile.

Entrambe sono diventate introvabili e su Amazon c’è chi vende pacchi da 10 mascherine a quasi 1000 euro.

#Milanononsiferma

Ho visto girare sui social un video con l’hashtag #milanononsiferma e lo stesso sindaco di Milano, Giuseppe Sala, lo ha condiviso sui suoi canali social.

Di solito questi messaggi carichi di positività e patriottismo mi piacciono ma questa volta non l’ho trovato bello e non l’ho condiviso per una serie di luoghi comuni che come milanese non apprezzo.

Diverse amiche e colleghe di Milano continuano, in buona fede, a combattere il razzismo e la xenofobia, andando a mangiare nei ristoranti cinesi di Paolo Sarpi per dimostrare che il virus che faceva morti a Wuhan è qualcosa di risolvibile.

Anche noi, prima di venire in Colombia, siamo andati a mangiare in ristoranti cinesi proprio per sostenerli in un momento in cui sono stati i primi a essere cancellati dalle mete serali dei milanesi.

Io per prima ho prenotato la mia consueta manicure dalle ragazze cinesi sotto casa.

E allo stesso modo anche io non ho apprezzato questo allarmismo dilagato proprio nei loro confronti, che in molti hanno iniziato a trattare come degli untori.

Ciò nonostante… non ricondividerò il video.

Perché di fronte a quanto sta accadendo, che i ristoranti siano italiani o cinesi poco importa, non possono essere strapieni di persone con tutti i contagi che si stanno verificando.

La paura, senza allarmismi isterici, certo, è lecita e non bisogna trasmettere un messaggio sbagliato.

Ecco, credo che l’errore sia questo: far passare il concetto che bisogni nascondere di avere paura di fronte al rischio, ormai sempre più probabile, di essere davanti ad un’epidemia ingestibile.

Tornando a noi: vorrei restare qui ma mia madre vuole tanto tornare dai suoi cani.

Bimbe mie se dovessi diventare così sgridatemi.

Voi siete belle, abbronzate e felici.

Qualsiasi cosa sia questo dannato virus l’unica cosa buona sembra essere il fatto che non colpisca i bambini.

Almeno un pensiero in meno.

Intanto un ulteriore decreto di Conte ha esteso i provvedimenti governativi oltre agli 11 comuni epicentro dei focolai di coronavirus fino al 15 marzo.

Stiamo a vedere.

vi abbraccio,

mamma

 

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