7 – Inizio anni ’50 – Un Paese in decollo

di Francesca

Il catering e l’Università Centrale del Venezuela

 All’inizio degli anni Cinquanta, il catering di mia nonna iniziò a rifornire anche le poche navi ormeggiate nel porto di Caracas.

Mentre viveva sul litorale le venne anche proposto di insegnare presso l’Università Centrale del Venezuela, ma le distanze e i collegamenti allora ancora difficoltosi non le permisero di accettare nessuna delle proposte ricevute.

Quando mia madre compì 7 anni, ritenendo il Venezuela un paese poco idoneo come luogo in cui far crescere le proprie figlie e non avendo alcuna intenzione di abbandonare i suoi successi lavorativi per occuparsi di loro, mandò entrambe le bambine (7 e 5 anni) a Roma, presso il Collegio dell’Assunzione di Viale Romania, allora rinomato istituto di suore.

Le figlie avrebbero di gran lunga preferito restare accanto alla propria famiglia, ma a sentire mia nonna, lei lo fece solo per loro e per il loro futuro. La verità è che Lydia amava troppo l’indipendenza e il suo lavoro per poter rinunciare al suo business. Così, spedite in Italia le bambine, continuò ognuna delle sue attività in Venezuela sentendosi sempre più parte attiva del paese.

Appoggiò la democrazia, il coinvolgimento delle donne nella vita politica e sociale, sostenne lo sviluppo di numerosi progetti atti a favorire lo sviluppo economico ed il turismo e finanziò diversi progetti importanti, come ad esempio l’autostrada che avrebbe finalmente collegato Caracas al litorale. Vide un paese in pieno decollo, esattamente come gli aerei che riforniva.

La Carretera Vieja era la sola strada allora percorribile per raggiungere da Caracas la costa, La Guaira e l’aeroporto internazionale Simón Bolívar di Maiquetia. Si trattava di un percorso estremamente tortuoso e pieno di curve molto pericolose e richiedeva oltre ad un’ora di viaggio. Durante il governo di Marcos Pérez Jiménez e la giunta militare che lo aveva preceduto, venne così progettata e costruita una nuovissima autostrada che esiste tutt’oggi e che avrebbe permesso di coprire le stesse distanze in 15/20 minuti al massimo. La sua costruzione iniziò nel 1950 e durò circa tre anni, con la grandissima spesa di 3.500.000 dollari/km.

Quando l’autostrada venne inaugurata, fu presentata al mondo come un vero e proprio capolavoro di ingegneria in America, per diversi aspetti secondo solo al Canale di Panama. Giusto per farvi capire il valore del bolivar (moneta locale), in quel periodo con 3,35 dollari si acquistava 1 bolivar. Oggi 8.000 bolivares sono 1 euro. Di tanto in tanto mollava tutto per un viaggio in Europa e per far visita alle figlie a Roma. Mia madre non faceva che scappare dal collegio e in più occasioni mise le mani addosso a qualche suora (credo si tratti di DNA perchè, inconsapevolmente, ho fatto la stessa identica cosa all’età di sette anni al Colegio Nuestra Señora del Valle di Porlamar. Nel dubbio eviterò di mandare Giulia e Vittoria, le mie bimbe, alle Marcelline).

Quando andava dalle figlie a Roma organizzava viaggi meravigliosi intorno al mondo e le portava con sè. In particolare le rimase impressa Honolulu e la calda accoglienza ricevuta in aeroporto al loro arrivo, con meravigliose donne locali che davano il benvenuto sotto alla scaletta dell’aereo con collane di fiori freschi e ghiacciati bicchieri di succo d’ananas. Nel frattempo mia nonna aveva pensato di ritrasferirsi a Caracas. Iniziò infatti ad ipotizzare di vendere tutto e di far trasferire nuovamente in Venezuela le figlie ormai adolescenti per mandarle all’Agustin Codazzi di Caracas, collegio privato fondato nel 1951 da immigrati italiani e funzionante solo come scuola italiana fino al 1986, quando iniziò a prevedere anche i programmi di studio locali.

Così nel 1961 comprò Quinta Waikiki, una bella e moderna villa sulle pendici del monte Avila, arredata secondo i racconti di mia madre in modo elegantemente minimal (strano se penso che Quinta Manila, l’attuale casa di Caracas e la sola che io abbia mai potuto vedere, sia un museo dell’antiquariato incredibile). La casa era stata costruita da zero e non aveva niente a che vedere con lo stile coloniale della precedente. Le camere da letto avevano una sola parete in muratura e tre in vetro, che permettevano una bellissima vista su un grande giardino tropicale.

Vi erano due ingressi indipendenti e più salotti che davano sul giardino. All’ultimo piano mia nonna aveva fatto progettare un’ampia sala da ballo con bancone bar ed una splendida terrazza per le feste che adorava organizzare. Feste, per esempio, come i quindici anni di mia madre (in Venezuela i 15 anni corrispondono ai nostri 18 ed è un’usanza diffusa organizzare una festa importante ed elegante al cumpleañero).

Quando ho chiesto a mia madre di raccontarmi qualcosa del suo “quindicesimo” mi ha detto che si vergognava come una ladra per quel genere di feste così diffuse in quella Caracas tutta di facciata, occasioni perfette per ostentare e mostrare i propri averi in società.

Mi ha raccontato con le lacrime agli occhi (per il troppo ridere e non certo per l’emozione) di cene molto “Brianza Style”, donne impellicciate con colli in visone bianco (voglio dire…. l’Avila sarà anche in alto ma stiamo pur sempre parlando di Venezuela e non della Norvegia),  anelli ed orologi, collane e pendenti in oro giallo in bella mostra stile alberello di natale, orride e kitschissime statue di ghiaccio a forma di delfini e pinguini a sostenere alzate di caviale e tartine varie. Il tutto sulle note di pezzi musicali americani in voga in quegli anni, o di quelli dei Billo’s Caracas Boys, o ancora la Sonora Matancera, l’Orchestra Aragona, José Luis Rodriguez o il padre del mambo Perez Prado, per citare solo alcune delle voci che più hanno caratterizzato la storia musicale venezuelana di quel periodo. Mia madre è e rimane altamente ricattabile perchè ricordo di aver visto alcuni ritagli di giornale nella casa di Caracas che parlavano proprio della sua festa dei quindici anni, con tanto di foto dove lei appare con vestiti a trapezio e capelli cotonati alla Thatcher.

Nel 1962, quindi, mia madre e mia zia erano tornate a Caracas e mia madre, con i documenti falsificati da mia nonna già in Italia (ai suoi 7 anni frequentava già la terza elementare),  aveva iniziato in nettissimo anticipo rispetto ai compagni di classe, il primo anno di liceo al Codazzi (conseguendo poi la maturità a 16 anni). Nel frattempo mia nonna Lydia si era decisa a cambiare vita. Prima di vendere, però, ebbe l’occasione di incontrare e servire personaggi pubblici e personalità particolari, come ad esempio Rosalio Castillo Lara, noto cardinale e arcivescovo venezuelano, o la meravigliosa Jacqueline Kennedy, la quale, vedova da poco, si trovava a bordo di un aereo in scalo in Venezuela proprio all’inizio del 1964. Tramite il Console italiano in Venezuela, infatti, mia nonna le fece consegnare una meravigliosa cattleya bianca, con un bigliettino d’accompagnamento: “To a gorgeous woman, our National flower”. Vendette poi il suo catering alla catena Marriott, chiudendo qui soltanto il primo capitolo della sua lunga storia imprenditoriale.

 

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