8 – Caracas – Roma – Andata e ritorno: L’Agostino Codazzi e il terremoto del 1967

di Francesca

L’Agostino Codazzi di Caracas e il terremoto del 1967

Venduto il catering, mia nonna aveva iniziato ad insegnare storia presso l’Agostino Codazzi, la scuola dove studiavano anche mia madre e mia zia. Parallelamente lei e mio nonno avevano aperto un’altra piccola attività similare alla precedente e, riconsiderando la possibilità di rientrare in Italia, avevano preso gli appalti a Rimini e Pisa per continuare la medesima attività presso i due aeroporti italiani.

La vita della mia famiglia continuava così in quella terra di profondi contrasti, dalla travolgente vitalità, dell’amore per la vita, per la bellezza e per il divertimento.

Durante la settimana mia madre andava a lezione, mentre nei week end, insieme agli amici e ai compagni di classe del Codazzi, frequentava il club e la spiaggia dello Sheraton Macuto Hotel.

Il terremoto: 29 luglio 1967

Lei, mia zia Laura, la loro cugina Laura ed i loro amici erano soliti restare in spiaggia fino a tardi, per poi intrattenersi per un aperitivo nel bar a bordo piscina. Esattamente come la sera del 29 luglio del 1967, quando uscendo dall’albergo li sorprese un tremendo terremoto di magnitudo 6.7, con epicentro a 20 km da Caracas.

Mia madre mi racconta che le porte automatiche della hall si bloccarono immediatamente e che ad un terribile boato seguirono secondi di vero terrore con la terra che ondeggiava. Girandosi verso il mare vide un’onda gigantesca, un vero e proprio muro d’acqua scagliarsi fino al primo piano dell’hotel e fiumi di gente presa dal panico correre verso le uscite. Tutto si risolse in pochi secondi tremendi ed angoscianti e Caracas ne rimase devastata in numerose zone. Quella sera, arrivati i soccorsi e passata la paura, tornò il sereno, anche se ci misero diverse ore prima di poter ritrovare mia nonna Lydia grazie ad un piede in sandalo Mario Valentino multi color che spuntava da sotto un enorme lastrone di marmo dell’ingresso dello Sheraton di Macuto.

Quando si dice: “una scarpa può cambiarti la vita!”. Altro che Cenerentola!

Il terremoto del ’67 aveva letteralmente spaccato in due quinta Waikiki, la villa sull’Avila dei miei nonni, così che si videro costretti a vendere quello che ne rimaneva e a cercare nuova dimora altrove.

Quinta Manila

I miei nonni comprano poco tempo dopo quinta Manila, mia madre si era appena diplomata e stava per trasferirsi a Roma per iniziare l’università, mentre mia zia avrebbe continuato a frequentare il liceo Codazzi.

Così mia madre rientrò in Italia, per iniziare a studiare Giurisprudenza all’Università La Sapienza di Roma. Sognava di fare la veterinaria (e oggi, conoscendola, sono certa che quella sarebbe stata la strada più giusta per lei), ma le venne imposto di studiare Legge, che lei trovò sempre noiosa e “troppo lontana da quell’idea idealizzata attraverso i gialli di Perry Mason”.

In quel periodo viveva presso l’istituto delle suore Teresiane di via Celso,1 a Roma, collegio con norme ed orari molto severi e stanzoni da 4 persone. I disordini del ’68 e la serie di accadimenti che si sarebbero verificati nella sua vita non le avrebbero permesso di portare avanti e terminare gli studi. Pare che mia madre fosse decisamente la pecora nera della famiglia e che, complice il fatto di essere solo una ragazzina, non facesse che combinare bravate (che cosa meravigliosamente precisa il DNA!) tanto che i genitori avevano iniziato ad insistere perché tornasse a vivere in Venezuela.

Tra le mille bravate di mia madre, scoperte negli anni (spesso a sua insaputa), per esempio, c’è l’aver tenuto nascosto per mesi un pulcino all’interno del Collegio (almeno fino a quando il poveretto, divenuto un gallo, era stato beccato in pieno da una suora e, temo, portato in cucina), o ancora i vari esami dati con un cuscino sotto il maglione per intenerire i docenti universitari (salvo poi incontrarli a Campo dei Fiori la sera stessa. Ovviamente senza cuscino), o ancora i viaggi in macchina in notturna per fare serata a 600 km da Roma e poi tornare indietro senza che le suore si accorgessero della sua assenza.

Anche se forse l’essersi fatta in Mini Cooper (più volte) la scalinata del “Colosseo Quadrato” dell’ Eur batte tutto il resto. Mia madre adorava organizzare feste e circondarsi di gente, ma in un modo assolutamente lontano dai raduni dei Circoli bene di Caracas o dalle cene ampollose organizzate da mia nonna a quinta Waikiki.

Per esempio, da single convinta quale era e quale intimamente si è sempre sentita, il 14 di febbraio di ogni anno organizzava una festa controtendenza per single. Proprio in occasione di una di queste feste mia zia Laura, che nel frattempo aveva terminato il liceo a Caracas e l’aveva raggiunta a Roma, aveva conosciuto quello che sarebbe diventato suo marito. Così si sposò il 19 settembre (anche lei!) di non so quale anno nella Basilica di Cosma e Damiano e mia madre, primogenita e single, iniziò a vacillare.

Non certo per il giudizio altrui o perché sognasse una famiglia da Mulino Bianco, quanto perché i miei nonni le stavano facendo molta pressione ed il solo modo per non tornare in Venezuela sarebbe stato sposarsi. E così un giorno si disse di doverlo fare e sposò un uomo conosciuto alla scuola ippica militare annessa alla Farnesina, che lei frequentava da diversi mesi. Parole sue: “avevo deciso di darmi all’ippica”.

Così, il 20 settembre, nemmeno due mesi dopo questo incontro, cotonata come Patty Pravo negli anni del Piper, con un cerone di 4 cm sul viso, sposò quest’uomo nella chiesa di San Bonaventura con pochissimi invitati benché a qualcuno sembrarono le nozze a palazzo.

Rimasta incinta di mio fratello Gianluca i rapporti con il marito iniziarono velocemente a sgretolarsi. Mio fratello nacque l’8 gennaio 1975 e, nemmeno a giugno, dopo una serie di eventi decisamente spiacevoli e dolorosi, mia madre si era già separata.

Ogni volta che me ne parla lo fa con una forte emozione nella voce e, soprattutto oggi che sono una donna e sono una madre, provo sempre più tenerezza e ammirazione nei confronti di quella 25enne profondamente ferita, sola e con un bimbo di pochi mesi da accudire.

Al destino non si può sfuggire così che, con mio fratello di 5 mesi e una separazione fresca fresca, non le restavano più scuse per restare in Italia e la sola cosa da fare sarebbe stata quella di salire su un aereo e tornare a casa.

 

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