Storia di Adam. In Kenya Santa Claus non è mai esistito.

di Francesca

Alessandra è una mia cara amica che vive a Roma.

Ha un legame fortissimo con l’Africa, paese che ha la possibilità di visitare spesso e dove porta avanti, insieme alla sua bella famiglia, molti progetti per sostenere la popolazione e, soprattutto, i bimbi.

Il testo che segue me lo ha mandato lei ed è stato scritto dalla moglie di suo padre, Rita Valentini,  responsabile di progetti umanitari in Kenya e Co founder di una Onlus di imminente costituzione.

Buona lettura!

Il cielo è un po’ grigio sulla costa, probabilmente non farà molto caldo, ne approfitto per occuparmi di Adam.

Il piccolo Adam di 9 anni che, tre anni fa aveva subito l’amputazione degli arti inferiori.

È stato cacciato dalla scuola, rimandato a casa per non aver pagato la retta.

Solo un mese fa la mamma del piccolo era volata in cielo lasciando orfani tre bimbi piccolissimi.

Arriviamo al villaggio dalla nonna con farina e biscotti, zero salario e tre bocche da sfamare.

Sarebbe dura per tutti. Lo è anche qui, dove i bimbi non mancano e le risorse scarseggiano.

Adam ci scruta, curioso…….questa muzungu (Bianca) appare e scompare continuamente.

C’è per organizzare il suo viaggio verso la speranza a Naru Moro.

Sparisce e riappare per iscriverlo alla scuola speciale di Gede, parlava con la mamma.

Da dove arriva, e dove andrà ogni volta che il piccolo fuoristrada si allontana tra cespugli e piccoli sentieri?

Questa volta si respira un’aria diversa, pesante.

Tutti i bimbi sono intorno alla nonna, purtroppo la mamma dei bimbi non è più lì ad accoglierci.

Ha lasciato i suoi bimbi al loro destino.

Tutte le loro certezze vacillano…niente mamma, niente carezze, niente scuola.

Non c’è Natale, non c’è aria di festa qui, nessuno passa a portare giocattoli, Santa Claus per questi bimbi forse non è mai esistito.
Arrivano due muzungu portano farina, biscotti e una promessa.

“Nyanya pole sana kwa kufaa ya binti wako “

(nonna sono addolorata per la morte di tua figlia)

“Adam, mambo?”

(Adam come stai?)

“sawa”

(bene)

Nonostante il peso che porta sulle spalle lui accenna un sorriso.

La nonna invece ha il dolore negli occhi e la responsabilità di tre bimbi da crescere.

Chiedo ad Adam se è contento di tornare a scuola, dice di sì, ha tanti amici che lo aspettano e molto da imparare. È il momento di lasciare il villaggio e Adam viene con noi.

Lui da la mano alla nonna ed è pronto.

Mi avvicino alla sorellina Hawa.

I suoi occhi neri come il carbone puntati su di me brillano, non vuole lasciare suo fratello così, le prometto che quando sarà più grande la manderemo a scuola.

Scopro che, senza il magro stipendio della mamma, anche lei è stata allontanata dalla scuoletta vicino casa per un debito di 800 ksh. È una sconfitta continua.

Ci avviamo verso la scuola, chiediamo del Preside a quanto ammontino le spese della bimba.

Mi assumo l’impegno di pagarle la retta, mi comunicheranno l’importo.

Anche Hawa per ora andrà a scuola.

Questa volta nella Via Crucis infinita delle attese sotto il sole ho portato mio marito.

Guarda commosso Adam attaccato al mio collo come se fossi la sua ultima spiaggia.

Resta senza parole, le spalle curve.

Non poteva immaginare. Questi aiuti sono frutto della sua generosità e del suo attaccamento al lavoro.

Dopo una breve sosta per l’acquisto di alcuni effetti personali richiesti dalla scuola, varchiamo il cancello dove il custode saluta e ringrazia i muzungu che sostengono i bimbi keniani.

Mi chiedo se sia questa la fratellanza alla quale fa riferimento Papa Francesco.

Chi lo sa…forse.

Adam ha scelto una tazza in plastica arancione e un piatto in plastica verde bottiglia.

Un bottino gelosamente custodito nel suo baule chiuso con un lucchetto nuovo di zecca.

Tutto ció che ha è racchiuso lì dentro, compresa una scatola di biscotti extra, per i momenti speciali.

La maestra lo vede, lo abbraccia, tutti sanno della morte prematura della mamma.

Gli è affezionata, ha parole gentili, è un bimbo intelligente, ha superato brillantemente un test per bimbi più grandi.

La speranza che possa farcela cresce dentro di me. Forse un giorno potrà essere il sostegno della sua famiglia, per le sue due sorelline.

Proprio lui, senza gambe.

Lo lasciamo lì, ci saluta e noi, con il cuore piccolo, ci allontaniamo voltandoci a guardarlo piccolo, sempre più piccolo.

Forse a scuola peserà di meno la mancanza della mamma.

Vai piccolo Adam, la vita è stata impietosa dal principio, ti ha ferito in mille modi ma noi crediamo in te, ce la puoi fare.

È come spingerti su una piccola bicicletta e aiutarti a mantenere l’equilibrio.

So che alla fine andrai sicuro e veloce contro il vento che cancellerà dolori e cattivi pensieri.

Noi siamo con te.

Questo racconto struggente finisce qui.

In me ha lasciato gli occhi lucidi, il cuore piccolo piccolo e il desiderio di fare qualcosa.

Dovremmo saperle queste cose. Dovremmo informarci e aprire gli occhi.

Forse dovremmo sapere cosa accade nel mondo, mentre noi ci lamentiamo per delle vere banalità e i nostri figli piagnucolano perché non prendiamo loro l’ennesimo regalo della settimana.

Lo scrivo per ripeterlo in primis a me stessa, sia chiaro.

Alessandra mi ha fornito una postepay.

Se vi va di aiutare il piccolo Adam ve ne saremmo grati.

Un abbraccio a tutti e grazie sin da ora.

 

La fotografia di questo post proviene dalla rete e non ha a che vedere con Adam né con la sua famiglia.

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