Guardate in faccia Cuba per capire come non dobbiamo diventare

di Francesca

Ultimamente non facciamo altro che parlare di Cuba.
Con odio, fastidio, astio e rancore.
Come si parla di un ladro e di un assassino. Come si parla di chi ci ha strappato il cuore, ha fatto a pezzi i nostri sogni, ha prosciugato le nostre risorse, svuotato le nostre dispense, inaridito la nostra storia e le nostre vite.

E così in parte è.
Cuba, chi la governa e rappresenta in verità, oggi rappresenta il nostro nemico numero 1 e non possiamo negarlo.

Tuttavia è importante tenere a mente che Cuba non sempre vuol dire Castro e che, pur essendo un popolo sedato in cui non vogliamo nè dobbiamo identificarci e da cui abbiamo il dovere di diversificarci quanto prima e con ogni nostra energia, il loro resta per lo più un popolo sofferente, schiavo, che si è arreso ad un’inquietante quanto effimera normalità.

Voglio guardare Cuba ed il suo popolo (quello che ha subito e quello che ha provato a reagire, non quello dei Castro) con la tristezza nel cuore e la voglia di capire cosa non permettere al nostro Governo e cosa non voglio che diventi il Venezuela.

Voglio conoscere Cuba per riconoscere a colpo d’occhio come il castro comunismo di Chavez prima e di Maduro oggi, ci sta trascinando velocemente nella stessa direzione.

Voglio provare a comprendere empaticamente i cubani che soffrono e non quelli che vengono a sparare e ad uccidere al nostro popolo e ad invadere la nostra terra per capire su quali punti dobbiamo lottare oggi per non cadere vittime della medesima trappola.

Voglio ricordare a me stessa e a tutti i venezuelani che noi abbiamo il petrolio e potremo concederci e permetterci molto di più se solo riusciremo a liberarci dalla dittatura. Voglio che resti chiaro nella mente di tutti noi che è Cuba ad avere un disperato bisogno del Venezuela, e non il contrario.

Voglio che sia chiaro che con la carestia alimentare, il libretto di razionamento, 4 polli al mese per famiglie di otto persone, l’inflazione e questo regime che tra poco ci priverá anche del diritto di respirare stiamo permettendo ai Castro e al nostro governo burattino di rovinare la nostra vita ed annullare il nostro futuro e quello dei nostri figli.

Voglio. Voglio. Voglio.
E sì che in genere sono una da “vorrei”.
Ma dobbiamo avere ben chiaro in testa cosa vogliamo e lottare per ottenerlo.

Tutto questo preambolo solo per chiedervi di ammirare Cuba per la sua posizione geografica e la sua bellezza naturale, pur tenendo a mente che il fatto che sia un paese dei balocchi per turisti non la rende un posto perfetto e felice per i suoi abitanti.
Per invitarvi a riflettere su una realtà che io personalmente considero agghiacciante, costruita minuziosamente intorno ad un popolo che appare arreso, sedato e sottomesso, per quanto conservi il sorriso e l’atteggiamento solare dei nostri territori.

Per chiedervi di capire dove andremo a parare anche noi se questo processo distruttivo non avrà fine in Venezuela.

Ora vi lascio ad una bellissima lettura che sono sicura apprezzerete, scusandomi per queste premesse forse troppo concrete che inquinano un po’ questo coinvolgente diario di viaggio dell’ amica Maria Luisa Perez Gherlone, che ha raccontato il suo viaggio a Cuba, visitata nell’agosto del 2003.

Proprio in occasione dei fatti che si stanno verificando oggi in Venezuela, la nostra Maria Luisa ha tirato fuori dal cassetto il suo racconto per offrirlo a tutti noi e permetterci di riflettere e correggere la storia.

Grazie a Maria Luisa per questo regalo prezioso e grazie a tutti i venezuelani che non si arrendono e che continuano a lottare per la vera libertà.

Agosto 2003
È il mare….ma non della felicità

Voglio raccontarvi la grande esperienza di aver visitato Cuba, senza dubbio una delle più importanti che abbia mai vissuto in vita mia, perchè trovo giusto e utile che ognuno di noi apra gli occhi per non permettere che la stessa cosa accada in Venezuela.

Ho dei sentimenti contrastanti, ma il tutto avvolto da una profonda tristezza ma allo stesso tempo mi riempie di speranza e di desiderio sapere di combattere per il mio paese e con questa lotta poter aiutare anche loro.

Ultimamente si è parlato molto del popolo cubano, soprattutto in merito all’invasione che abbiamo avuto con l’appoggio consapevole dei due regimi.

Tutto quello che posso dire prima di lasciarvi alla mia storia è che dobbiamo sempre tenere a mente che Fidel non è il popolo cubano.

Continuiamo ad attaccare e condannare il regime, ma aiutiamo tutte quelle persone che hanno bisogno di noi perchè senza il nostro aiuto affonderanno nel dimenticatoio …. e nella disperazione.

Mi è sembrato un popolo “anestetizzato”, vale a dire che, anche se sono consapevoli di quanto male vivono, si sono abituati ed adeguati a sopravvivere da 44 anni sotto dittatura, sopportando una serie di privazioni ed imparando ad ottenere il meglio dalle loro sole forze, pur senza combattere.

Mi riferisco al comune cittadino.

Vivono come se fossero stati chiusi in una grande gabbia, tuttavia cercando di essere felici con quel poco che possono permettersi.

Non ricevono nessuna informazione su quanto si stia verificando all’interno o all’esterno del loro paese o per loro, e le notizie che arrivano sono così distorte, da renderli ancora più vulnerabili alla rassegnazione.

Hanno molta paura sul  futuro “dopo Fidel” ed in molti pensano che potrebbe essere ancora peggio di adesso.

Ho trovato strano, tra le altre cose, che nel XXI secolo il mezzo di trasporto pubblico sia una vettura trainata da cavalli e che le persone si spostino così da un luogo all’altro. Esattamente come ho trovato insolite le strade deserte e buie, la totale mancanza di auto lungo le autostrade perchè possedere una “macchina” (termine dato alle vetture degli anni ’50) è privilegio di pochi, della gente del partito comunista, di chi lavora nei luoghi dove si ha la possibilità di accedere ad una valuta straniera, degli appartenenti al CDR o, ancora, dei pochi fortunati che ne hanno ereditata una da un parente.

Nonostante tutte queste difficoltà sono delle persone nobili e apparentemente molto felici che, nonostante tutta la loro miseria e le difficoltà incontrate nella loro vita, cercano di offrire ai visitatori la massima comodità ed il benessere.

Quel poco che hanno, lo offrono senza aspettarsi nulla in cambio.

Ho girato per alcuni villaggi e molte volte mi ha toccato nel profondo vedere delle persone rientrare a casa dal lavoro dopo 8 o 10 ore, sotto piogge torrenziali, magari a bordo di una bicicletta e, quando arrivano a casa, trovarsi nella condizione disumana imposta dal luogo in cui vivono, di non potersi nemmeno fare una doccia con acqua calda, per non parlare del fatto di non avere niente da mangiare molto spesso.

Allora mi chiedo quanto e per quanto tempo una persona possa vivere in queste condizioni.

Con l’aggravante degli ospedali, che si trovano nelle peggiori condizioni sanitarie anche per la mancanza di ingressi, contrariamente a tutto ciò che è stato detto relativamente alle meraviglie della medicina cubana, niente è più lontano dalla realtà quando si tratta di sottoporsi a dei trattamenti (per esempio, una cisti sebacea, invece di operarla, la medicano con acqua calda fino a quando non scoppierà da sola).

Ai bambini viene tolto il latte a sette anni dal “libretto di razionamento” e quando vanno a scuola, si portano per merenda una sorta di “succo” senza vitamine e non possono nutrirsi con nulla che permetta loro di nutrirsi e crescere sani e forti.

Ecco perché quando sono adulti, molti di loro hanno grossi problemi ai denti ed alle ossa, per la mancanza di calcio e vitamine durante l’infanzia.

Molte case non sono nemmeno dotate di doccia, cioè le persone devono riscaldare l’acqua nelle pentole ed in alcuni casi con fornelli a petrolio, o usare secchi, e fare il bagno con un sapone chiamato madreperla che contiene sostanze terribili, produce in molti casi allergie e prurito e che viene venduto in cantina, sempre tramite la “libreta” (lo devono pagare , non è gratis chiramente). Viene assegnato solo un sapone per persona, che “dovrebbe” durare 2 mesi o più, perché non sono mai sicuri di poterne garantire a breve la vendita.

Le condizioni dei bagni sono tremende, per tirare l’acqua sono costretti a buttare secchiate di acqua nei gabinetti, per via del pessimo stato delle tubature e del siatema fognario.

Poter usare la carta igienica è fuori discussione, non possono acquistarla, perché nelle “Shoppi” (come chiamano i negozi “di valuta”) 4 rotoli costano 1 dollaro. Così che sono costretti ad utilizzare la carta dei giornali e quando si è abbastanza fortunati da avere un telefono in casa (altro privilegio di pochi) usano l’elenco telefonico perchè la carta è sottile e “fa meno male”.

Chiedono aiuto e ci chiedono di continuare a lottare per la libertà.

A casa nostra possiamo ancora farlo, per non lasciare che anche il nostro Venezuela DIVENTI COME CUBA.

….In cuor loro sperano che il nostro processo li possa aiuterare ad uscire da quell’inferno in cui si trovano.

Un’altra cosa che ho osservato da vicino durante il mio viaggio a Cuba è stata l’abitudine lungo strade ed autostrade del cosiddetto “ANDARE IN BOTTIGLIA” (“Ir en botella”), che significa passare da una città all’altra (per mancanza di trasporti ma anche per i costi proibitivi dei pochi esistenti) a bordo di camion che trasportano merci, affollati di gente stipata come bestiame, in balia del sole e della pioggia, pagando pochi spiccioli perché in questo modo l’autista ha l’occasione di portare qualcosa in più a casa ma sempre con il rischio che la polizia lo fermi e gli faccia una multa di 1.500 pesos, in alcuni casi correndo anche il rischio che il camion gli venga confiscato e di perdere il suo lavoro perchè il trasporto di persone viene considerato illegale ed è punito con il carcere.

Tutto è illegale, tutto deve essere fatto di nascosto, nel terrore, nella paura e nel rischio.

Il regime sequestra stipendi perché non sono pagati in proporzione al costo della vita, non possono permettersi nulla, perché tutto è basato sul dollaro (lo stipendio medio è di 140 pesos, cioè $ 5.18) e devono cambiarli in chavitos per potere acquistare nei Shoppi, che accettano solo chavitos e solo quando li possono ricevere perché i negozi cubani non hanno nulla e quel poco che hanno è di scarsa qualità.

In tal modo il vincitore è sempre e soltanto uno, e così le persone cercano di sopravvivere.

Si usa abitualmente questa moneta parallela al dollaro, che ha valore solo a Cuba, (chavito) che costringe il visitatore a spenderli fino alla fine o a lasciarli lì, quando la vacanza finsice e arriva il momento di tornare nel proprio paese.

Ho avuto modo di vedere in cosa consista la libreta de racionamento ormai attiva anche in Venezuela e, anche se tutto è razionato e segnato e ci sono notevoli limitazioni si è costretti a pagare.

Non solo non possono comprare ciò che vogliono o che potrebbero permettersi, ma quel poco che possono avere lo possono comprare quando e se il “regime” vuole.

Passano persone in bicicletta nelle strade, sussurrando sottovoce che ad esempio “la patata è arrivata in magazzino” per trarre vantaggio a chi la vende perché non c’è molta gente in giro e così funziona per tutto.

Un’altra cosa che mi hanno detto è che negoziare carne di manzo è punibile con 15 anni in prigione.
Uccidere una mucca è quasi peggio che uccidere una persona, provate a chiederlo se non credete a me e vedrete che non sto esagerando.

La televisione è qualcosa di deprimente. Senza colore per l’assenza di pubblicità, anche se non è in bianco e nero (tuttavia, molte persone non possono permettersi un televisore a colori, che sono per lo più di vecchia tecnologia) fanno vedere dei film vecchissimi e dei documentari noiosissimi.
Il telegiornale è sempre dello stesso, dal taglio rivoluzionario completamente falso, le buffonate di Hugo Chavez, che fanno vedere in continuazione, così che ho dovuto sopportare la sua presenza persino lì.

Ho avuto la sensazione che Cuba sia un paese normale dal Lunedì al Venerdì.
Il Sabato e la Domenica pomeriggio, si vede raramente la gente per le strade e diventa quasi un’isola fantasma.

Non c’è nulla da fare, non hanno nulla da comprare per i prezzi altissimi, non ci sono riviste, i cinema non li aprono quasi mai, così il loro tempo lo trascorrono a giocare a domino, con qualche birra quando se le possono comprare, – e sì che costano solo 85 centesimi -. In caso contrario berranno una cubana che è imbevibile, e così passano il loro tempo libero, o cercando “baro”, che significa denaro, o andando al mare, nelle spiagge permesse ai cubani.

Alcune persone, un po’ fortunate ed audaci hanno la possibilità di posizionare un’antenna (usando serbatoi per l’acqua) per catturare e registrare programmi TV come cartoni animati, serie tv ecc. e noleggiare video, si tratta di un buon affare se non ti scoprono perchè anche questo rientra nell’infinita lista delle cose illegali ed è molto rischioso sia vendere video che avere un’antenna “abusiva”.

La sera, dal lunedì al venerdì, dalle 9:15 alle 10, fanno vedere solo due teleromanzi uno cubano ed.uno straniero. Il lunedì, il mercoledì ed il venerdì quello cubano ed il martedì e il giovedì quello straniero.

Per avere un lavoro decente o la possibilità di un diploma universitario, si deve marciare, partecipare alle riunioni del CDR delle regioni ed iscriversi ad esso, in alcuni casi fare lavori “volontari”.

Quando i ragazzi vanno a scuola, li mandano via dalle loro case a lavorare nei campi per pagare così al regime le spese de la loro istruzione “gratis” e avere la possibilità di accedere all’università.

A Cuba ci sono le case in affitto per gli stranieri, molto più economiche (25$ pensione completa) rispetto ad altri hotel, ma ora il regime, oltre al brevetto, richiede loro una base imponibile per ogni spazio che i turisti utilizzano nelle abitazioni, tra cui la sala, il giardino, il soggiorno e la cucina.

Così facendo il regime cerca di fare fallire questo business per avere in tal modo il controllo assoluto degli afflussi di valuta estera.

A Cuba mi sentivo come se avessi fatto un passo indietro nel tempo, intorno alla metà degli anni ’50.

Ero in vacanza, ma una vacanza diversa, e nonostante ciò, non mi è mancata la comodità dello sviluppo e ho anche pianto a vacanza terminata.

Mi hanno chiesto di tornare presto, e lo faro appena potrò , e sento l’impegno e il dovere di raccontare la mia umile storia, per portarvi gioia, la speranza e soprattutto il mio sostegno, amore e compagnia.

Questa è stata la mia esperienza nella Perla delle Antille.

È una bellissima isola con una geografia unica, un popolo sofferente ma attento e disponibile … e speriamo presto tutto questo finisca e finalmente diventi un vero e proprio mare di felicità ….

Maria Luisa Perez Gherlone 

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