Leopoldo López, dal carcere di Ramo Verde, invita il popolo a continuare!

di Francesca

Da una cella di isolamento del carcere di Ramo Verde, Leopoldo López, intervistato da El Nacional tramite un questionario, ricorda che la lotta deve assolutamente continuare e non ci sono motivi per desistere o esitare.

López chiede al suo popolo di non arrendersi, di portare avanti le proteste inaugurate lo scorso 12 febbraio.

Bisogna pretendere giustizia di fronte alla repressione devastante contro il popolo, davanti alle morti, le 18 ufficiali e le altre 350 non menzionate.

È necessario ristabilire un ordine, impossibile tuttavia attraverso il solo dialogo.

La protesta, per funzionare, pur rimanendo pacifica, deve coinvolgere anche altri ambienti, non deve restare solo una protesta di strada.

A López non è permesso di incontrare nessuno all’infuori della moglie Lilian Tintori, dei suoi genitori ed i suoi avvocati, che possono vederlo soltanto il giovedì e la domenica.

La cella è molto piccola e noi possiamo immaginarlo se si pensa che la scorsa settimana gli hanno cambiato un materasso matrimoniale con uno singolo perchè quello doppio occupava tutto lo spazio della cella, non permettendogli alcun movimento.

Il dirigente di Voluntad Popular non ha potuto osservare in prima persona quanto stiano aumentando le proteste da quando si trova a Ramo Verde.

Conosce i fatti grazie ai giornali e a quanto gli raccontano i famigliari.

Secondo López bisogna definire obiettivi chiari e nell’immediato.
“Es necesaria la organización de lo que es la lucha no violenta”.

Eccovi riportate domande e risposte del questionario:

Come si sente?
— Sono isolato dal resto dei detenuti, ma sono consapevole di quello che si sta verificando.
Era da un pò che immaginavo che tutto questo sarebbe successo.
Da circa un anno Nicolás Maduro mi minacciava con il carcere.
Aspettava da un pezzo una buona scusa per procedere e il 12 febbraio, finalmente, l’ha trovata.
Sappiamo benissimo che quello che sto subendo a Ramo Verde non ha nulla a che vedere con il 12 febbraio ma è solo un capriccio dittatoriale risolto.
Si è trattato di un piano eseguito magistralmente dal Governo, gli assassini erano del Sebin e, secondo il fratello di Juan Montoya, Juan è stato ucciso dai colectivos.

Prove, foto, video e testimonianze non mancano di certo.
Sono innocente e lo resterò nella storia.

Sono responsabile per aver invitato il popolo ed i giovani a scendere in piazza, ma lo rifarei ancora.

La risposta positiva al nostro invito non ha fatto altro che dimostrare che abbiamo agito bene, che molti non aspettavano altro, che erano e sono tutti consapevoli del fatto che sia necessario intraprendere un cammino per arrivare ad un cambiamento sociale e politico.
E questo cambiamento decisivo potrà realizzarsi solo per mano dei milioni di venezuelani che si trovano nelle strade, pacificamente e senza violenza.

Mi assumo le mie responsabilità e non sono scappato consegnandomi spontaneamente ad una giustizia ingiusta. Mi aspetto quindi che Nicolás Maduro, circondato dai simboli del potere e della debolezza del suo governo,  faccia lo stesso.
Sono un prigioniero politico, un prigioniero della coscienza di Maduro e della sua istituzione manipolata.

—Si è pentito di essersi consegnato?
—No. Mi pento solo di aver chiamato il popolo a scendere in strada in un momento di apparente positività, ma con una marea di problematiche oggi evidenti. Non mi pento nemmeno di essermi consegnato spontaneamente ad uno stato carnefice, che non solo è diventato il mio aguzzino, ma che rappresenta anche il boia del futuro di tutti i venezuelani.

—Non ha paura che senza lei le proteste abbiano fine?
— Quanto sta accadendo esprime il volere di un popolo guidato dai giovani, ai quali è stato strappato il futuro e demolito il  presente. Le proteste hanno coinvolto milioni di persone in tutto il paese e, nonostante le violenze e la repressione ostinata da parte del governo, sono andate avanti e continueranno ancora.

Come ho letto il 12 febbraio su uno dei cartelli dei manifestanti: “ci hanno tolto così tanto che sono riusciti a levarci anche la paura”.
Le barricate e la chiusura delle strade sono state una grande dimostrazione.

Non sono d’accordo con la violenza e nemmeno con l’idea di sacrificare i diritti altrui per esigere i nostri, ma dobbiamo capire che sono alcune delle espressioni umane e comprensibili di un popolo distrutto ed umiliato.

Bisogna capire ed interpretare questo sentimento e indirizzarlo in modo opportuno per mantenere la fiammella della speranza accesa.

—Cosa vorrebbe dire a coloro che aspettano le sue istruzioni?
— Nella mia cella, rinchiuso ed isolato da tutto e tutti, la mia convinzione è che dobbiamo continuare la lotta, senza paura e senza arrenderci.

Dare una direzione alla protesta sociale per me vuol dire pretendere delle cose concrete:
Definire degli obiettivi raggiungibili.
Ripeto quanto già detto dai miei colleghi dell’opposizione:
1) giuste punizioni per i responsabili della repressione, delle morti e degli arresti.
2) rivedere ruoli e poteri, che si definiscano nuovi magistrati, nuovi controllori del CNE.
Sostituzione anche di legali e amministratori che hanno dimostrato di essere complici e colpevoli per aver agito d’accordo con il governo ed aver omesso tutto quello che sta accadendo.
3) che sia fatta giustizia con la truffa da 30 miliardi di dollari che sono stati rubati da Cadivi e che tutto il governo ha ammesso.

Sono tutti rimasti liberi e impuniti, non sono state fatte indagini, mentre code, carestia alimentare, inflazione, fame e disoccupazione per il fatto di aver attinto troppo a risorse in esaurimento continuano ad esserci e ad affliggerci.

Andiamo avanti con una lotta non violenta, che non si limiti alla marcia e alle proteste nelle strade. La strade sono il principale scenario di lotta, ma non il solo.
Devono diventare luoghi dove portare avanti la nostra protesta anche un’aula scolastica, il posto di lavoro, l’autobus, le code per comprare alimenti.

E infine è necessario coinvolgere nuovi settori e movimenti nella nostra lotta non violenta.

—Che cosa pensa delle riunioni di pace? Sono sufficienti per smettere di protestare?

—Non si può parlare di pace senza giustizia. Nelle attuali condizioni la giustizia deve dare chiari segnali di voler trovare e arrestare i colpevoli delle morti, delle centinaia di feriti, degli arresti e delle torture. Ma anche della truffa che ha rappresentato il furto alla nazione dei dollari di Cadivi.

Finora si ripeterebbero errori già visti. Il dialogo deve esprimersi attraverso i fatti.

—Ha ottenuto risposta alla sua lettera inviata a Papa Francisco?
—spero che sia arrivata nelle sue mani. Grazie a Dio il Papa ha già parlato della situazione venezuelana.

—Cosa vuole dire a tutti coloro che hanno perso qualcuno durante queste proteste?
—prima di tutto desidero esprimere loro le mie più sentite condoglianze. A ognuno di loro. Mi hanno commosso molto le testimonianze dei vari famigliari che hanno chiesto pubblicamente di andare avanti per non lasciare senza un perchè la morte dei loro figli, nipoti o fratelli. A loro,dal carcere, la mia più grande solidarietà. Non ci arrenderemo fino a quando non avremo una migliore Venezuela, dove i diritti di tutti vengano rispettati.

Leopoldo Santiago, figlio di Leopoldo López, ha fatto i suoi primi passi proprio dentro la carcere di Ramo Verde.
E, nonostante le circostanze, suo padre non si è perso questo momento.
Lo ha raccontato Lilian Tintori in lacrime.

A López viene permesso di uscire molto presto la mattina per allenarsi. Fa qualche flessione e qualche addominale. Lo vedono solo due donne che sono anche loro in isolamento. Non può uscire alla stessa ora degli altri detenuti e non può incontrarli o parlarci.

A mezzogiorno arriva il pranzo: due vassoi di cibo per la maggioranza dei prigionieri. Un piccolo contenitore di plastica con dentro a rotazione riso bianco, purè di patate, insalata o pollo per lui.

Gli hanno requisito il cellulare e sospeso le visite per 15 giorni.
Solo un paio di volte gli è stato concesso di giocare con il suo bambino.

E tutto questo per cosa? Per un capriccio di Maduro. Per non aver commesso alcun reato.

Per avere tre sole, grandi “colpe”:
1) Un carisma da vendere
2) L’ amore del suo popolo
3) Argomentazioni più che convincenti per spronare il Venezuela a protestare e riprendersi in mano il suo futuro!

Perfavore, rinnovo l’invito, a chi non lo avesse ancora fatto, di aderire alla petizione per la sua liberazione cliccando QUI 

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