Venezuela: Maduro consegnerà il potere?

di Odilia



Scritto da Fausto Masó per El Nacional

Tradotto e adattato: Odilia Sofia Quattrini

Il Venezuela si convertirà in una seconda Cuba? In quale Cuba? Quella del 2014 o quella del 2000?

La Cuba che apre la sua economia? Maduro sta promettendo apertamente un’uscita violenta, se venisse sconfitta la sua corrente politica alle elezioni di dicembre, o almeno, non è disposto a riconoscere le decisioni della nuova Assemblea che si insedierebbe se perdesse.

Maduro sta reagendo come un vero marxista per il quale le elezioni sono un semplice mezzo per arrivare al potere.

Possiede una formazione radicale e, per il vero marxismo, ciò che importa è la rivoluzione, non la volontà popolare.

Proprio nei giorni scorsi Nicolás Maduro, in un’intervista trasmessa dal canale di stato VTV, ha dichiarato che “nello scenario ‘ipotetico negato’ nel quale l’opposizione arrivasse a vincere le elezioni parlamentari del prossimo 6 dicembre, ‘non consegnerebbe la rivoluzione’ e passerebbe a governare con il ‘popolo’ e in ‘unione civico-militare'”.

Vale a dire che, se il popolo vota contro Maduro, non è più il popolo, e la minoranza si trasformerebbe in maggioranza.

Il rifiuto alla gestione del presidente Nicolás Maduro sta aumentando in Venezuela alla stessa velocità con la quale l’opposizione capitalizza lo scontento sociale a suo favore, per le elezioni parlamentari del prossimo 6 dicembre.

L’ 82% dei venezuelani considera che la gestione di Maduro sia stata cattiva e negativa.

Nel giugno scorso, il capo del governo aveva un 70% di rifiuto, secondo quanto dichiarato da Luis Vicente León, direttore di Datanàlisis. In America Latina la rivoluzione è stata rappresentata da Castro, Allende, Chávez, e da Nicolàs Maduro. Tutti e quattro hanno issato la bandiera di “patria, socialismo o morte”. Il processo è culminato con Maduro che si sente in gloria quando fa visita a Fidel Castro: con qualsiasi pretesto viaggia a La Avana.

Nei giorni lontani in cui guidava autobus a Caracas, di certo non avrebbe immaginato mai che il suo dio gli avrebbe risposto al telefono. Maduro vuole immergersi nella luce dell’aureola rivoluzionaria mentre i Castro vivono del ricordo della lotta armata e si vestono da militari persino per andare in bagno.

Il richiamo all’eroismo è sfumato, il Che è diventato un semplice monumento nell’isola, le ceneri di Allende le ha disperse il tempo.  Nemmeno Fidel Castro è più Fidel Castro e Maduro invece, è soltanto Maduro: l’urlo eroico si è convertito in un bisbiglio.

Il mito dei liberatori ha alimentato una storia di colpi di Stato e arretratezza in Venezuela. È sorta una versione fantastica della storia nazionale, Bolivar era il santo morto nella croce per colpa di un Giuda.

Oltre a contare sul petrolio, discendevamo dai liberatori, i creatori del militarismo. Chávez è stato un prodotto di quella tradizione, la cospirazione del 4 Febbraio (n.d.t.: data in cui nel 1992 Hugo Chávez fece il primo tentativo di colpo di stato all’allora presidente costituzionale del Venezuela, Carlos Andrés Pérez) non era un segreto, si commentava apertamente la possibilità di un colpo alla fine del secondo periodo presidenziale di Carlos Andrés Pérez. Quando alla fine del 1991 un banchiere si lamentò della decadenza morale del paese, Ramòn J. Velazquez lo avvertì: ” Un militare sta preparandosi per combinarne una grossa”.

A Miraflores (n.d.t.: sede del governo venezuelano), il capo d’intelligenza militare commentava ad un giornalista indicando Chávez: “Quel colonnello e un certo Arias Cárdenas stanno organizzando un golpe”. Uslar Pietri, un mese prima del 4 febbraio del 1992, parlava del pericolo di un colpo di stato. Nel 1958 sarebbe stato considerato un dovere morale denunciare i cospiratori; mentre nel 1992 un vescovo si negò a divulgare informazioni ricevute privatamente sul secondo golpe del 27 novembre. Non è facile ciò che ci attende.

Chávez accettava il sistema elettorale perché vinceva le elezioni, mentre invece Maduro sa bene che le perderà.

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