Giusto per chiarire: due paroline su Isla Margarita

di Francesca

Recentemente sono stata contestata ed offesa da una persona italiana che vive a Isla Margarita, con interessi in ambito turistico. Oltre a lui ci si sono messi suoi clienti, collaboratori ed amici.

Partendo dal presupposto che critico un Governo censore e che non ho alcun desiderio di omologarmi, avrei potuto facilmente eliminare i loro sgradevoli commenti, finalizzati ad offendermi, farmi passare per una “visionaria”, una “bugiarda”, una “drogata” (ho paura anche della Rinazina Spray Nasale, difficile quindi), per una “imperialista gringa” che cospira contro il Governo (chissà cosa intendeva uno dei denigratori con il termine “gringos”. Forse è convinto, come lo era quel megalomane di Chávez, che gli americani possano tutto).

Sono tanto contenta per loro se riescono a guardare Margarita attraverso un bel caleidoscopio pieno di vetrini colorati.
Io ho tolto gli occhiali a forma di cuore ormai anni fa, con non poco dolore.

Comprensibilmente ognuno difende i propri interessi con le unghie e con i denti e mi rendo conto che per loro sia fondamentale dare un’immagine idilliaca di un paese, in questo caso di un’isola, a cui far arrivare turismo.

Considerato poi che ormai il tartassamento tramite Social Network e blog scomodi come il mio, è inarrestabile, bisogna almeno cercare di limitare lo sputtanamento alla terra ferma, lasciando fuori dai disordini un luogo come Margarita, dove qualcuno sceglie ancora di trascorrere le proprie vacanze.

Vorrei anche dire che in ambito turistico ci sono cresciuta e che ho sempre pensato e continuo a pensare che questo settore rappresenti per noi una risorsa fondamentale. Per l’isola senz’altro la risorsa numero 1.

Tuttavia credo che si debba promuovere il turismo solo quando esistono le condizioni adeguate per farlo.

Quando, cioè, un turista non rischia nulla. Oggi personalmente preferirei non promuovere il turismo, piuttosto che dare i miei clienti in pasto agli squali, avendoli a vita sulla coscienza (25.000 morti l’anno in tutto il Venezuela e una decina di morti ufficiali al mese anche a Isla Margarita -per lo più turisti-).
Preferirei darmi all’ippica piuttosto che garantire sicurezza senza poterlo effettivamente fare.

Dire che Margarita è un’isola felice è una clamorosa bugia. Sì, purtroppo oggi lo è.

Dire che vi si trova “ogni ben di Dio” lo è ed ancora più grande.

Per almeno un decennio ho sostenuto io per prima questa versione, in cui credevo ad occhi chiusi, perchè, obiettivamente, fino a qualche tempo fa le cose non andavano poi tanto male.

Ho sempre detto che Margarita fosse un puntino in mezzo al mare protetto da tutto e tutti: uragani, tornadi, terremoti, ma anche disordini sociali e politici e delinquenza, senz’ombra di dubbio più frequenti sulla terra ferma.

Ero la prima a dire che Margarita fosse un posto sicuro e, coerentemente a questa mia idea, ho sempre trascorso circa 3/4 mesi l’anno sull’isola, questo fino a circa 7/8 anni fa.

Poi, 5 anni fa, ho tristemente deciso di non volerla più vedere in questo stato, ma la mia famiglia e i miei amici sono rimasti lì.
Questo per sottolineare che le notizie mi arrivano quotidianamente.

Durante quei mesi spensierati da universitaria, mi muovevo di giorno e di notte senza mai sentire particolari sensazioni di pericolo.

Portavo in giro gruppi di amici italiani mostrando loro orgogliosa le bellezze del posto.

Li portavo a raccogliere con i secchi kg e kg di vongole sulla spiaggia de La Restinga con cui farci meravigliose spaghettate la sera.

E poi a provare cibi locali: empanadas, cachapas, cocada, pabellon criollo e il pan de jamon a natale.

Mostravo loro lo stupendo paesaggio della mia isola vista dall’alto fermando l’auto in cima al Cerro Copey, circondati solo dal cielo e dal silenzio, e poi li accompagnavo al Valle a vedere la chiesa color senape (una volta tutta rosa e bianca) dove sono stata battezzata 33 anni fa.

O ancora a cena in un bel ristorantino di Pampatar, a guardare il tramonto su Juan Griego o a mangiare aragoste e pesci appena pescati a Manzanillo.
Da una bruja locale a farsi leggere le carte e il tabacco o a casa di amici avvolti dal silenzio di Macanao.

Guidavo una macchina appariscente e di grande cilindrata e giravo di notte e di giorno l’isola, non temendo nessun tipo di zona, nemmeno quelle più interne o isolate.

Ogni volta che la tv italiana trasmetteva quell’odiosa (anche se oggi la definirei profetica) pubblicità del rum Pampero mi arrabbiavo moltissimo, non rivedendo affatto tutta quella delinquenza raccontata nello spot in una città cosmopolita e moderna come Caracas.

I miei nonni sono stati tra i tantissimi emigrati italiani che hanno mollato tutto per tentare la fortuna in un paese che allora (stiamo parlando degli anni ’40) offriva moltissimo ed era tutto da inventare.

Ciò nonostante non si sono mai comportati da “colonialisti”, come fanno gli italiani di oggi, dimostrando amore e gratitudine sin da subito verso quella meravigliosa terra.

Tra loro e il Venezuela c’è stato un continuo scambio reciproco, durato almeno 60 anni.

I miei nonni hanno ricevuto tantissimo dal Venezuela e a loro volta hanno cercato di restituire qualcosa a questo meraviglioso paese, finanziando anche opere pubbliche e numerosi progetti nel corso degli anni ’50.

Hanno amato così tanto quei luoghi da aver voluto mettere al mondo proprio lì i propri figli.

Mia madre e mio padre, a loro volta, hanno voluto che io nascessi in quella terra.

Sarò loro per sempre grata di questo immenso regalo.

Il fatto che nelle mie vene non scorra sangue venezuelano poco importa.

Quello è e sarà sempre il mio paese natale, quello dove sono cresciuta e mi sono formata, quello di mia madre e dei miei nonni.

Quello che mi è stato insegnato ad amare e rispettare dai primi giorni della mia vita.

Credo che l’amore che provo per il Venezuela sia innegabile.

Penso di poter anche affermare di conoscere molto bene quel paese di cui conosco dinamiche e natura vera, non solo quella più recente e, purtroppo, fatiscente.

Conosco il Venezuela non attraverso gli occhi di un turista italiano che ci è andato un paio di anni prima di decidere di trasferirsi e aprirsi un’attivita in pieno chavismo.

Lo conosco nel profondo.
Lo conosco per il meraviglioso paese che era prima dell’arrivo di questo governo sfruttatore.

Conosco un Venezuela che fu ricco e colto. Elegante e sicuro,. per davvero.
Luogo turistico per eccellenza, con ristorantini e locali affollati e di tendenza, dove era impensabile presentarsi in bermuda ed infradito.
Un’isola frequentata da un turismo sempre rispettoso ed elegante.

Ho avuto la fortuna di vedere il Venezuela che forse quei signori non hanno avuto la gioia di conoscere, un paese oggi paragonabile solo a Saint Barth o a Mustique.

Una delle mete più esclusive dei Caraibi e non l’orrore generale che rappresenta oggi, seppur attenuato dalla bellezza maestosa e da togliere il fiato della natura (quella, almeno quella, resiste).

Penso che alla luce di tutto questo possa essere comprensibile il mio dolore e la rabbia che sento per lo scempio a cui assisto impotente ogni giorno.

Perchè, alla fine, se conosci un luogo in un modo, credi che quello sia sempre stato e ti accontenti di viverlo per quello che è.

Ma se hai avuto la fortuna di vederlo sano, bello, libero per davvero dalla delinquenza, in grado davvero di offrire “ogni ben di Dio” allora non puoi proprio definire normale la situazione attuale del paese o di Margarita.

Conosco bene il Venezuela, molto bene. Meglio di chi quando io lo descrivevo come il paese grandioso che era si immaginava donne con il gonnellino di paglia, l’anello al naso e la frutta in testa.

L’ho conosciuto, amato e fatto mio non solo attraverso i miei occhi, ma anche e soprattutto attraverso quelli di altre due generazioni che, prima di me sono entrate per sempre in sintonia con quella terra.

Conosco la Margarita davvero turistica e sento di poter affermare con serenità che la mia famiglia è stata una delle prime ad aver spinto l’isola verso questa direzione vincente.

Quindi, alla luce di tutto questo, pretendo che mi si riconosca almeno di sapere di cosa parlo e di amare più di loro la mia terra.

Ognuno tira acqua al suo mulino e non lo si puo evitare.
Ognuno sfodera le armi in suo possesso ed ognuno, chiaramente, deve poter esprimere liberamente le proprie idee.

Ma allo stesso tempo ognuno di noi dovrebbe almeno avere il buon gusto di non aggredire o insultare il prossimo, pur di salvarsi il culo e di proteggere i propri interessi.

Quindi a questi signori dico: state sereni!
Le recensioni su Margarita sono così buone, rassicuranti e veritiere, mentre io così folle, sleale e bugiarda, che nessuno ascolterà certo le parole deliranti di una visionaria gringa che parla di carestia alimentare e delinquenza nella vostra isola che non c’è (più), di cui pubblicate foto datate.

Su, non cerchiamo di convincerci reciprocamente.

Voi restate della vostra idea ed io della mia. Voi continuate a dire che regnano pace e tranquillità e io a tradurre e ricopiare testualmente ciò che i venezuelani da Margarita e dal resto del paese mi fanno avere.

E sappiate che non vengo a Margarita da 5 anni con un dolore immenso nel cuore.

Perchè mi manca ogni singolo giorno la MIA isola.
Mi manca nelle ossa, nel cuore e negli occhi. Mi mancano le cose belle e le cose brutte di quel posto.

Ma non posso accettare di trascorrere le mie vacanze in un posto dove si resta senza luce e senza acqua per diverse ore al giorno.

Dove ti puntano un’arma contro la schiena per portarti via un Black Berry nel parcheggio di Farmatodo.

Dove alle 10 di sera, pur considerandomi locale ed essendo madrelingua, sono stata minacciata da due GNB di finire in galera se non mi fossi infrattata con entrambi (tutto finito nel migliore dei modi ma solo perchè mi è andata bene e sono passate delle persone).

Non posso pensare a mia zia minacciata con una pistola alla tempia, legata, menata e spogliata persino degli occhiali da vista l’anno scorso a Porlamar mentre andava in palestra.

Non posso accettare la rapina a mano armata a Playa Parguito in pieno giorno sotto ad un ombrellone di domenica scorsa.

Non posso tacere di fronte a povera gente minacciata e rapinata nel cuore della notte nelle eleganti case di Chana dove pensi che niente possa accadere.

Non posso rischiare di prendere un aereo per Los Roques facendo il segno della croce prima di decollare perchè, pur di guadagnare, ve ne fregate di far viaggiare la gente su aerei a cui mancano pezzi di ricambio e manutenzione dagli anni ’70.

Quindi, convengo con voi in merito al fatto che le sporadiche proteste e guarimbas isolane non abbiano avuto nulla a che vedere con quelle di Caracas, di San Cristóbal, Barquisimeto o Valencia (e menomale!).

Al di là che indubbiamente la situazione a Margarita risulti essere più rosea che nel resto del paese, che stando attenti le probabilità di mettersi nei guai sono nettamente inferiori rispetto che sulla terra ferma, assodato che il turista non fa grandi giri e che difficilmente andrà a fare spese da Rattan (quello sulla Avenida 4 de Mayo), al Central Madeirense, al mercato di Conejero e da Makro (tutti luoghi dove la carestia è più che evidente) e che quindi, quando da buon italiano compra con il cambio nero le cose a buon prezzo, in centri commerciali, perfetti “paesi dei balocchi” per turisti, come La Vela, il Sambil o il Rattan Plaza o in qualche piccolo supermercatino lungo El Yaque o Playa El Agua, gli capiterà più facilmente di trovare “ogni ben di Dio”.

Oltretutto, se in Venezuela ci vai e ci sei andato solo durante la dittatura di Chávez o Maduro non sei nemmeno in grado di capire di cosa sto parlando, quindi lascia perdere.

Alla luce di tutte queste considerazioni, signori miei, ribadisco che si possono avere idee opposte senza diventare aggressivi o offensivi.

Qui la mia è solo legittima difesa perchè nessuno vi ha cercati e offesi come avete fatto voi con me.

Non prendiamoci per il culo e ognuno vada avanti con i propri interessi: voi quello di riempirvi le tasche e Amen se sparano in fronte ad un vostro cliente.

Io con il solo, doloroso, desiderio di far conoscere cosa accade nel paese che amo più al mondo, con un dolore fisso nel cuore e la voglia, a tratti, di fare come fate voi: chiudere gli occhi e negare di fronte all’evidenza.

P.S. chi di voi non lo avesse ancora fatto può andare a leggere i loro commenti QUI.

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